"Cupola di Roma", nell'inchiesta anche molti personaggi del centrosinistra. Il dossier del Prc di Roma nel 2013

Mentre tutti i fari dei mass media nel raccontare l’inchiesta “Mondo di mezzo” vengono puntati su Massimo Carminati, ex terrorista dei Nar e accusato di aver fatto parte della Banda della Magliana, a piazzale Clodio la sensazione è che siamo solo al principio di un sisma destinato a propagarsi coinvolgendo ampie fette di centrosinistra.

Il governo Renzi vuole la privatizzazione dell'acqua: fermiamolo!

Il Governo Renzi sta tentando di raggiungere il risultato cui sinora nessun governo era riuscito ad arrivare: la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali

Piano Regionale dei Rifiuti. Sgherri:"obbiettivi svuotati e piano che punta alla realizzazione degli inceneritori."

Di Marco Bersani, tratto dal numero di marzo del Granello di sabbia. La crisi sovverte e modifica il quadro geopolitico internazionale, mutando i rapporti di forza a livello internazionale e rimettendo in discussione egemonie storiche, sinora date per indiscutibili.

Preparare la manifestazione del 29

Il Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista, convocato il giorno dopo dello sciopero generale della Fiom per valutare la nuova fase che si è aperta con la ripresa del conflitto sociale...

Sentenze MPS: un primo passo nella direzione giusta, ma non ancora sufficienti

Il PRC esprime parziale soddisfazione riguardo alla sentenza con la quale Mussari, Vigni e Baldassarri sono stati giudicati relativamente alla ristrutturazione del derivato Alexandria.

1.27.2012

Solidarietà ai militanti No TAV

Gli arresti del 27 gennaio sono l’ennesimo tentativo di ridurre il movimento NO TAV ad un problema di ordine pubblico al fine di dividerlo e delegittimarlo. È l’ennesimo punto di continuità tra il governo Berlusconi e il governo Monti: non si riconoscono le ragioni di chi protesta, non si tratta, ma si agisce militarmente, si determina un clima di tensione e poi si processa sulla base degli scontri che avvengono.  Al contrario di cosa si vuol far credere il movimento NO TAV non è un problema di ordine pubblico ma una grande esperienza politica in cui una comunità vuole decidere democraticamente sul proprio futuro, così come democraticamente decide le forme e i contenuti delle mobilitazioni. Vogliamo quindi esprimere la nostra solidarietà al Movimento No Tav e l’impegno a proseguire la lotta affinché quello sperpero di danaro pubblico, inutile e dannoso, venga fermato e la Val di Susa non sia più una terra militarizzata

paghi chi non ha mai pagato


Nel primo tempo hanno fatto la più pesante controriforma delle pensioni della storia di questo paese. Una riforma che ha aumentato l’età in cui si è costretti al lavoro anche di 6 anni, portandola molto al di sopra della media europea. Una riforma che non ha nessuna giustificazione rispetto alla necessità del cosiddetto equlibrio del sistema previdenziale, ma che ha come unica motivazione la scelta di fare cassa e di usare i contributi previdenziali per uno scopo diverso da quello per cui sono versati. A regime un prelievo forzoso di altri 20 miliardi dalla previdenza al bilancio dello stato.

Nel secondo tempo hanno agitato lo specchietto delle allodole dei notai e delle posizioni di privilegio. Ma alla fine le posizioni di privilegio sono state tutte salvaguardate. Non sono toccate le banche a cui la prima manovra ha elargito una serie di consistenti sgravi fiscali, e non sono toccati neppure i notai che vedono un modesto incremento del loro numero, mentre si sarebbe potuto e dovuto stabilire ad esempio che tutta una serie di atti possano essere fatti da sindaci e segretari comunali. Il succo del secondo tempo sta invece nel rafforzare ulteriormente i processi di privatizzazione dei servizi pubblici locali, da cui si salva solo l’acqua, e in un nuovo attacco al lavoro, con l’eliminazione dell’obbligo del rispetto del contratto nazionale nelle ferrovie.

Ora arriva il terzo tempo. La riforma degli ammortizzatori sociali che sarebbe necessaria, dovrebbe vedere la loro universalizzazione a settori di impresa e tipologie di contratti che ne sono esclusi. Con questo obiettivo, tempo fa, la Cgil aveva presentato una proposta di riordino seria e tutt’altro che irrealistica che andava nella giusta direzione e prevedeva accanto all’universalizzazione e semplificazione degli ammortizzatori sociali, l’istituzione di un reddito minimo per tutelare i disoccupati di lunga durata. Il governo invece propone di fare tabula rasa. Di eliminare la cassa integrazione straordinaria e in deroga e di ridurre la durata della cassa integrazione ordinaria a un anno. Nella crisi in corso si tratta di un intervento folle. Nel solo 2012 avremmo tra i 300.000 e i 500.000 disoccupati in più, perché non solo si riducono drasticamente i tempi, ma mentre la Cig e la Cigs mantengono il rapporto di lavoro in essere, “l’indennità risarcitoria” con tutta evidenza interviene dopo che il rapporto di lavoro è terminato. I contributi versati dai lavoratori verrebbero nuovamente sequestrati, come è già avvenuto per le pensioni, mentre Fornero dopo tanto parlare di Flexsecurity candidamente afferma che per il reddito minimo non ci sono le risorse. Ma non basta. Invece di disboscare i 46 tipi di rapporto di lavoro precari, li si mantiene, se pure con la promessa di farli costare di più. Dulcis in fundo Fornero parla della necessità di un “contratto calibrato sul ciclo di vita” Non è difficile capire cosa significhi nonostante le scarne parole del ministro. E’ la riproposizione di un contratto iniziale senza tutele in cui si può essere licenziati con piena “libertà” degli imprenditori, a cui seguono contratti che non rispondono più al principio che a parità di prestazione ci devono essere parità di condizioni retributive e di diritti, ma frantumazione ulteriore e ulteriore riduzione delle garanzie.

BASTA!!


1. La speculazione si contrasta colpendo gli speculatori e non le lavoratrici e i lavoratori. La BCE deve acquistare direttamente i titoli di stato dei paesi europei. Ci vuole un polo pubblico del credito. Vanno tassate le transazioni finanziarie.
2. Va introdotta una patrimoniale sulle grandi ricchezze oltre gli 800.000 euro. Il Vaticano deve pagare l’ICI sulle attività commerciali. Va portata al 15% la sovratassa sui capitali scudati.
Va aumentata l’aliquota per i redditi sopra i 75.000 euro. Va contrastata davvero l’evasione fiscale e contributiva. Invece va eliminata l’addizionale Irpef e la tassazione sulla prima casa non di lusso, diminuite le tasse su lavoro e pensioni.
3. Vanno tagliate le spese militari: dagli F35, alle missioni di guerra, agli organici dell’esercito.
Vanno bloccate le grandi opere inutili e dannose come la Tav in Val Susa. Vanno tagliati i privilegi della politica.
4. Vanno eliminate le norme inique sulle pensioni. Va posto un tetto a 5000 euro perle pensioni d’oro e per ogni cumulo di pensione. Va garantita la pensione futura ai lavoratori precari.
5. Va fatto un piano per il lavoro e l’ambiente, per la conoscenza e il welfare. Si possono creare almeno mezzo milione di posti di lavoro nel risparmio energetico e nelle fonti rinnovabili, nella mobilità sostenibile, nel riassetto del territorio, con l’obiettivo della piena e buona occupazione. Si può e si deve investire nuovamente nella scuola e nell’Università pubblica, nei servizi essenziali e nel sistema di welfare, a partire dall’ istituzione del reddito sociale
per i disoccupati.
6. Vanno ridati diritti al lavoro. Va contrastata la precarietà e la legge 30. Va esteso l’articolo 18. Va abrogato l’articolo 8 che distrugge il contratto e i diritti del lavoro. Va fatta una legge sulla democrazia e il pluralismo sindacale.

Ancora sullo sciopero dei tir

“A mezzanotte così come previsto la nostra protesta si concluderà ma il governo deve ascoltare e capire il popolo dell'autotrasporto, diversamente siamo pronti ad attuare un nuovo fermo a febbraio”. Ad annunciarlo è Tommaso Alessi, coordinatore regionale di Trasportounito Fiap, che prevede già dal pomeriggio una graduale smobilitazione dei presidi in vista della conclusione programmata dei fermi per la prossima mezzanotte.
“Non si possono ignorare - ha aggiunto Alessi - le richieste sacrosante di gente che lavora e dorme in una cabina di autotreno e che, nelle condizioni attuali, non riesce a portare a casa nemmeno uno stipendio. C'è stato l'80% di adesioni alla nostra mobilitazione e questo vorrà pur dire qualcosa, senza tenere conto della solidarietà della gente che vive come noi i disagi e le difficoltà del caro gasolio”. “Per questo il Governo - ha concluso Alessi - deve capire la nostra situazione e provvedere. Diversamente saremo costretti a mobilitarci nuovamente e non solo nel prossimo mese ma anche in tutti i mesi a venire”.

La protesta dei camionisti





di Isabella Borghese 


In questi giorni hanno bloccato strade e autostrade trasformando i loro percorsi in un’unica “piazzola di sosta” e a qualcuno, ad Asti, è anche costata la vita. Quali sono in Italia, oggi, i numeri per presentare le condizioni attuali degli autotrasportatori padroncini? I dati diffusi da Trasporto Unito, tratti dall’incrocio di quelli dell’Albo Nazionale Autorasporto e Cerved, dichiarano le aziende che operano nel settore in un numero pari a 115.000, in 450.000 gli addetti e ben 65.000 le imprese chiuse negli ultimi sei anni. Accanto a questo dato un ulteriore riferimento mette in crisi il settore: si stimano circa 20.000 ditte che non riescono neppure a fallire per assoluta mancanza di liquidità. E si arriva al 50% di aziende operative, seppur siano in stato di crisi irreversibile, considerando che ogni impresa è gravata mediamente da circa 200.000 euro di debiti. Tra i piccoli autotrasportatori in sofferenza non mancano oltre 5 mila stranieri, titolari di impresa individuale: nell’ordine risultano marocchini (quasi 800), rumeni (400), albanesi (circa 380) e peruviani (360). Ma a soffrire la crisi, secondo una ricerca che emerge da un’elaborazione dell’ufficio studi della Camera di Commercio, dobbiamo ricordare anche le oltre 1.700 padroncini “donne” che rappresentano il 3,1% sul totale. Ad aggravare la situazione dal 2009 ad oggi, secondo i dati forniti dalla CGIA di Mestre, si è fatta avanti la prepotenza dell’aumento del gasolio pari a + 54,5%, dei pedaggi autostradali da minimo 16,7% e delle assicurazioni che vanno dal 50 al 100%. A fronte di aumenti così sostanziosi un autotrasportatore oggi deve anche affrontare in media 3.000 euro all’anno per assicurare la motrice di un Tir e 200 euro circa per il rimorchio. Per avere un quadro generale del nostro paese il settore dell’autotrasporto muove fra l’80 e il 90% delle merci che si spostano sul territorio italiano, da qui è facile comprendere il caos che in questi giorni ha minacciato l’Italia, provocando una reazione a catena che avrebbe potuto veramente paralizzare il paese. Nelle merci in esportazione verso altri paesi europei l’autotrasporto italiano è sceso sotto quota del 25% e nelle merci in importazione è sotto quota del 12%. In soldoni la ricerca per il trasporto di strada in Italia evidenzia un giro d’affari pari a 46 miliardi di euro che negli ultimi due anni ha vissuto una contrazione pari in media al 19%. Il dramma emerso in questi giorni, denunciato dalla categoria riguarda soprattutto i costi chilometrici applicati dai committenti. Qual è dunque la tariffa che viene corrisposta ad un autotrasportatore che fa lunghe percorrenze? Siamo a un tariffario ridicolo: 1,20 euro/km. Ma non si può omettere che a questa cifra va tolto il prezzo del carburante, di media pari a 0,46 euro/km (da questo importo si è scorporata l’Iva ma non le accise che le imprese del settore possono recuperare solo sugli automezzi che superano le 7,5 tonnellate di peso). Il guadagno lordo è intorno a 0,74 euro/ km, chiaramente eludendo altri costi come l’ammortamento dell’automezzo, l’assicurazione, il bollo, il cambio pneumatici, la manutenzione-riparazione e i pedaggi autostradali e le imposte ed i contributi. Cosa resta dunque all’autotrasportatore? Un importo netto si riduce a 0,15 €/km. I dati diffusi dalla CGIA di Mestre – Associazione Artigiani Piccole Imprese Mestre - rendono lo scenario ancora più complesso e deprimente se consideriamo che gli autotrasportatori italiani subiscono anche la concorrenza di quelli stranieri. Subire sembra un termine che calza a pennello in questo caso: i colleghi dell’est infatti sembra che viaggino con una tariffa pari a 0,80euro/km, senza il rispetto degli orari di guida e dei limiti di peso. I numeri che “fanno” gli autotrasportatori padroncini nel paese in cui il governo Monti impone liberalizzazioni e laddove la crisi costringe cittadini già in dichiarate difficoltà a sacrifici impossibili non fa che denunciare un’evidente realtà: il settore dell’autotrasporto è in ginocchio e a pagarne, nel nostro paese, sono, ancora una volta i più deboli. Quelli che i soldi in tasca non ne hanno più, ma a cui si chiede “un sacrificio perenne”, un “dare senza ricevere”. Anche loro stanno pagando la crisi

Ricchi e poveri, la distanza sociale aumenta





Di Jolanda Bufalini 


Ricerca Ocse sull'aumento delle disparità di redditto. In tutto il mondo sviluppato il gap aumenta. In Italia il reddito medio del 10% benestante è 10 volte superiore al reddito da lavoro minimo.
I precari dell'Istat che «hanno fornito gli indicatori e le misure della diseguaglianza», protagonisti e, al tempo stesso, oggetto della ricerca dell'Ocse sulle diseguaglianze, hanno salutato il ministro Elsa Fornero con uno striscione nell'Aula magna dell'Istituto di Statistica, ispirato al titolo della ricerca: «Precarious We Stand». Un inflessibile Enrico Giovannini non ha dato loro la parola ma il ministro ha assicurato: «I precari di tutta Italia sono nel cuore del governo». Viviamo in un paese dove i poveri restano poveri, i ricchi sposano i ricchi, dove le diseguaglianze sono aumentate anche negli anni in cui cresceva l'occupazione, smentendo l'idea che «i benefici della crescita economica ricadano sulle classi meno abbienti e che una maggiore diseguaglianza stimoli la mobilità sociale».
È il profilo dell'Italia che emerge dalla presentazione, fatta da Stefano Scarpetta, della ricerca comparata fra i paesi Ocse in cui si cerca risposta all'interrogativo: «Perché le diseguaglianze continuano a crescere?». Dice Scarpetta che della povertà in Italia preoccupa la sua «persistenza», che i matrimoni fra persone dello stesso ceto «contribuiscono per un terzo all'aumento delle diseguaglianze». In Italia la crescita della diseguaglianza è all'apice dagli anni Novanta ed è superiore alla media Ocse: nel 2008 il reddito medio del 10% più ricco del paese era di 49.300 euro, 10 volte di più del reddito medio del 10% più povero (4.877 euro), venti anni fa la differenza fra ricchi e lavoratori poveri era invece di sette punti. Se si allarga lo zoom e si guarda all'insieme il quadro è ancora più fosco: negli Stati Uniti i ricchi hanno 18 volte di più rispetto ai redditi minimi, in Brasile la differenza è pari a 50. Non solo, i maggiori guadagni in alcuni paesi sono raccolti dallo 0,1 per cento della popolazione: negli Usa la quota di reddito familiare netto per l'1% della popolazione più ricca è più che raddoppiata, passando dall'8% nel 1979 al 17% nel 2007. Solo alcuni paesi in via di sviluppo come la Turchia hanno ridotto il differenziale mentre anche nel Nord Europa le dif-ferenze sono aumentate, solo in Francia e Giappone sono rimaste stabili.
Passando dalla fotografia alle cause si scopre che la globalizzazione (cioè l'aumento degli scambi e degli investimenti stranieri) non sono la causa diretta del maggiore gap mentre le riforme del mercato del lavoro, come l'aumento dei contratti atipici, hanno ampliato la platea degli occupati ma anche ridotto i salari. Un fattore che ha influenzato, invece, direttamente le disparità è la rivoluzione tecnologica. Di qui una delle raccomandazioni della ricerca: investire sul capitale umano, cioè su scuola e formazione perché i lavoratori più qualificati hanno visto incrementare rapidamente i loro redditi mentre i meno qualificati sono rimasti indietro. E la sfida, per i paesi Ocse «è creare posti di lavoro qualitativamente e quantitativamente migliori». C'è un altro fattore che ha aumentato le disparità, l'esigenza di contenere la spesa di welfare: minore protezione sociale, minore capacità redistributiva delle politiche fiscali, meno previdenza, meno assistenza. Di qui la sottolineatura dell'Ocse: agire sulla qualità dei servizi gratuiti come la sanità e l'istruzione. E sulla leva fiscale, «perché le quote crescenti di reddito per le retribuzioni più elevate suggerisce che la capacità contributiva è aumentata» e con la recessione «le politiche di sostegno sono molto importanti».

sciopero 27 gennaio

Difendere i diritti e le condizioni materiali dei lavoratori, dei pensionati, dei precari, dallo spietato attacco del Governo Monti vuol dire, oggi più che mai, contrastare la devastante crisi economica in atto. L’impoverimento di massa, il dilagare della precarietà e della disoccupazione, l’innesco di un’inquietante spirale recessiva, certificati dall’ISTAT, sono esattamente il prodotto di quelle manovre di taglio di pensioni e stipendi, deregolamentazione del mercato del lavoro e dei mercati più in generale, avviate dal Governo Berlusconi e sviluppate dall’attuale maggioranza che oggi vengono spacciate come “neutre” e salvifiche. Invitare i lavoratori a scendere in piazza contro queste politiche attuate ad esclusivo vantaggio delle classi dominanti del Paese è pertanto urgente e doveroso. Per queste ragioni la Federazione della Sinistra è al fianco dei lavoratori che domani 27 Gennaio sciopereranno e scenderanno in Piazza, rispondendo all’appello opportunamente lanciato dei sindacati di base. La riuscita di questa giornata di lotta, alla quale ci auguriamo concorrano tutte le forze della sinistra, può costituire un passo importante per la crescita di un’opposizione di massa capace di imporre un’alternativa, indispensabile quanto praticabile, alle sciagurate politiche liberiste



salari e inflazione





Salari in picchiata. A dicembre la forbice tra l'aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,4%) e il livello d'inflazione (+3,3%), su base annua, ha toccato una differenza pari a 1,9 punti percentuali. Si tratta del divario più alto dall'agosto del 1995. Il dato suggella ormai che siamo in piena stagflazione, ovvero, il combinato disposto di inflazione e recessione. A diramare i dati è l’Istat che però non spiega come il dato dell’1,4% è calcolato sui contratti effettivamente rinnovati. E’ noto, infatti, che solo poco più del 50% dei lavoratori italiani possono godere di un contratto rinnovato. A soffrire di un taglio di fatto della busta paga attuato attraverso il blocco dei rinnovi è un settore importante come il pubblico impiego. Il potere di acquisto per una famiglia media monoreddito che percepisce un reddito 1.500 euro al mese registra, secondo le associazioni dei consumatori Federconsumatori e Adusbef, una diminuzione del potere di acquisto pari a 342 euro l'anno, mentre nel caso il reddito percepito sia di 2.000 euro al mese la diminuzione del potere di acquisto è pari a 456 euro l'anno. La situazione può peggiorare, perché mentre la capacità di acquisto continua a diminuire prezzi e tariffe sono in incessante crescita: le prime previsioni dell'O.N.F. - Osservatorio Nazionale Federconsumatori prospettano nel 2012 un aumento pari a 392 euro a famiglia solo per quanto riguarda il settore alimentare. “Aggravi, tra l'altro, destinati a peggiorare anche sulla spinta degli aumenti determinati dalla serrata dei tir”. Per il Codacons “l'aumento dell'Iva ha dato il colpo di grazia finale a chi era già ridotto sul lastrico, facendo salire l'inflazione dal 2,8% di agosto al 3,3% di dicembre, nonostante sia in atto un crollo della domanda e dei consumi”. Ma, sottolinea l'associazione a tutela del consumatore, “Monti ha fatto dietrofront proprio nella lotta al carovita, eliminando, caso strano, le liberalizzazioni che maggiormente incidono nella spesa quotidiana dei pensionati e delle massaie italiane, ossia quelle del commercio al dettaglio, facendo saltare i saldi liberi e non inserendo l'eliminazione dei vincoli alle vendite sottocosto”.