"Cupola di Roma", nell'inchiesta anche molti personaggi del centrosinistra. Il dossier del Prc di Roma nel 2013

Mentre tutti i fari dei mass media nel raccontare l’inchiesta “Mondo di mezzo” vengono puntati su Massimo Carminati, ex terrorista dei Nar e accusato di aver fatto parte della Banda della Magliana, a piazzale Clodio la sensazione è che siamo solo al principio di un sisma destinato a propagarsi coinvolgendo ampie fette di centrosinistra.

Il governo Renzi vuole la privatizzazione dell'acqua: fermiamolo!

Il Governo Renzi sta tentando di raggiungere il risultato cui sinora nessun governo era riuscito ad arrivare: la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali

Piano Regionale dei Rifiuti. Sgherri:"obbiettivi svuotati e piano che punta alla realizzazione degli inceneritori."

Di Marco Bersani, tratto dal numero di marzo del Granello di sabbia. La crisi sovverte e modifica il quadro geopolitico internazionale, mutando i rapporti di forza a livello internazionale e rimettendo in discussione egemonie storiche, sinora date per indiscutibili.

Preparare la manifestazione del 29

Il Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista, convocato il giorno dopo dello sciopero generale della Fiom per valutare la nuova fase che si è aperta con la ripresa del conflitto sociale...

Sentenze MPS: un primo passo nella direzione giusta, ma non ancora sufficienti

Il PRC esprime parziale soddisfazione riguardo alla sentenza con la quale Mussari, Vigni e Baldassarri sono stati giudicati relativamente alla ristrutturazione del derivato Alexandria.

12.07.2014

Il 12 dicembre SCIOPERO GENERALE!

Il governo Renzi vuole la privatizzazione dell'acqua: fermiamolo!


Il Governo Renzi sta tentando di raggiungere il risultato cui sinora nessun governo era riuscito ad arrivare: la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali. Lo fa attraverso due provvedimenti: il decreto “Sblocca Italia” e la legge di stabilità. Con il primo, impone ai Comuni l’obbligo di aggregare le società del servizio idrico per arrivare ad un gestore unico per ogni ambito territoriale ottimale, spesso coincidente con il territorio regionale. Con la seconda, rende sempre più onerosa la gestione pubblica dell’acqua e spinge gli enti locali a privatizzare, permettendo loro di spendere fuori dal patto di stabilità i soldi ottenuti dalla cessione delle proprie quote ai privati. Il Governo Renzi vuole in questo modo mettere una pietra tombale sul risultato referendario che nel 2011 ha visto la maggioranza assoluta del popolo italiano pronunciarsi per una gestione pubblica, partecipativa, territoriale e senza profitti dell’acqua e di tutti i beni comuni. Il Governo Renzi vuole affidare l’acqua e tutti i servizi pubblici locali a quattro grandi multiutility collocate in Borsa: A2A, Iren, Hera ed Acea, consegnando i beni comuni delle comunità territoriali agli interessi dei grandi capitali finanziari. In questi anni, in ogni luogo del paese, abbiamo detto a gran voce: “si scrive acqua, si legge democrazia”. Per questo diciamo al governo Renzi: INDIETRO NON SI TORNA! Si attui il referendum, si affidi la gestione dell’acqua pubblica, partecipativa e senza profitti alle comunità locali. 

"Cupola di Roma", nell'inchiesta anche molti personaggi del centrosinistra. Il dossier del Prc di Roma nel 2013

Mentre tutti i fari dei mass media nel raccontare l’inchiesta “Mondo di mezzo” vengono puntati su Massimo Carminati, ex terrorista dei Nar e accusato di aver fatto parte della Banda della Magliana, a piazzale Clodio la sensazione è che siamo solo al principio di un sisma destinato a propagarsi coinvolgendo ampie fette di centrosinistra. Le carte dell'indagine raccontano di un malaffare talmente diffuso che potrebbero essere clamorosi gli sviluppi dell'indagine. Il Prc di Roma nel 2013 aveva già messo in luce in un dossier i punti di contatto, specialmente sul piano urbanistico, tra alcune amministrazioni di centrosinistra e il centrodestra di Alemanno. Nelle intercettazioni raccontate dal procuratore Pignatone nel corso della conferenza stampa, viene fuori come lo stesso Carminati parla dell'importanza di cercare addentellati anche nelle amministrazioni di centrosinistra. 



In manette, nell'operazione congiunta di Ros e Guardia di Finanza, lo ricordiamo sono finiti infatti l'ex amministratore dell'Ente Eur, Riccardo Mancini (da sempre braccio destro di Alemanno) e quello dell'Ama, Franco Panzironi, già vecchie conoscenze della procura di Roma. I due erano "pubblici ufficiali a libro paga" che fornivano "all'organizzazione uno stabile contributo per l'aggiudicazione degli appalti". I due manager si sono adoperati anche per "lo sblocco dei pagamenti in favore delle imprese riconducibili all'associazione e come garanti dei rapporti dell'associazione con l'amministrazione comunale". Di fatto quello presieduto da Carminati è a tutti gli effetti un comitato d'affari che copriva tutti i settori produttivi della Capitale compreso il business dell'accoglienza degli immigrati e quello dei campi nomadi. Tra gli arrestati c'è anche Luca Odevaine, già capo di gabinetto nel 2006 dell'allora sindaco di Valter Veltroni, che nella sua qualità di appartenente al Tavolo di Coordinamento Nazionale sull'accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale ha orientato, in cambio di uno "stipendio" mensile di 5 mila euro garantito dal clan, le scelte del tavolo per l'assegnazione dei flussi di immigrati alle strutture gestite da uomini dell'organizzazione. Tra gli indagati anche tre esponenti di punta dell'attuale amministrazione capitolina: l'assessore alla casa Daniele Ozzimo e il presidente dell'assemblea capitolina Mirco Coratti, entrambi del Pd, che si sono già dimessi pur dichiarandosi "estranei". Indagato anche il responsabile della Direzione Trasparenza del Campidoglio, Italo Walter Politano, che oggi sarà rimosso dal suo incarico. Un altro personaggio chiave dell'inchiesta è Salvatore Buzzi braccio destro di Carminati, e legato in passato ad ambienti della sinistra. Buzzi, 59 anni, arrestato con il presunto capo della 'Mafia Capitale', intercettato dai carabinieri diceva però che 'la politica è una cosa, gli affari so' affari". E lui, condannato in passato per omicidio, si era inventato prima una cooperativa sociale con ex detenuti e poi aveva creato un piccolo impero nel settore, ha spiegato il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone. Capace di mettere al tavolo - in senso letterale - esponenti di destra e di sinistra, a lui Carminati aveva chiesto di "mettersi la minigonna e battere" per ingraziarsi la nuova giunta Marino. Nel corso della conferenza stampa, Pignatone ha raccontato di un incontro tra Buzzi e Antonio Lucarelli, il capo della segreteria dell'allora sindaco Gianni Alemanno, anche lui indagato nell'inchiesta. In pratica, Buzzi voleva incontrare Lucarelli per far sbloccare un finanziamento, ma l'allora capo segreteria di Alemanno si rifiutava di riceverlo. Dopo aver ricevuto una telefonata da Carminati, però, ha riferito Pignatone, Lucarelli si sarebbe precipitato da Buzzi, raggiungendolo fin sulla scalinata del Campidoglio, per dirgli che era "tutto a posto". A quel punto Buzzi avrebbe commentato:"C'hanno paura de lui".


Articolo di Fabrizio Salvatori
Fonte: http://www.controlacrisi.org

11.19.2014

Piano Regionale dei Rifiuti. Sgherri:"obbiettivi svuotati e piano che punta alla realizzazione degli inceneritori."

Piano Regionale dei Rifiuti in approvazione. Sgherri (PRC in Regione): “piano che svuota obbiettivi anche ambiziosi a causa di previsioni di produzione di rifiuti sovra dimensionate e che paiono funzionali a fare inceneritori. In soffitta il percorso partecipato che Rossi aveva accolto”. 

Firenze, 19 novembre. Piano Regionale dei Rifiuti in approvazione. L’arrivo oggi in aula del Piano conferma che è stato interrotto il confronto partecipato, promesso e poi negato dal presidente Rossi. Un piano che si pone formalmente obbiettivi anche ambizioni (70 %, 20%, 10%) ma che poi li svuota in primis a causa del sovra dimensionamento della produzione rifiuti indicata, e funzionale alla realizzazione degli impianti di incenerimento. Così Monica Sgherri – esponente di Rifondazione Comunista e capogruppo in Consiglio Regionale. Sulla produzione dei rifiuti – spiega Sgherri – in Toscana si parte da dati di gran lunga superiori a quelli che registrano già oggi altre altre regioni italiane (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc), ma quel che balza all’occhio è che le previsioni al 2020 contenute nel piano sono di circa 100 – 150 kg/abitante /anno superiori ai dati 2012 (fonte Ispra) di queste regioni . E tutto in base a una prevista ripresa economica (legata alla produzione dei rifiuti) sempre annunciata e mai partita e che comunque, qualora si realizzasse, la letteratura economica ci dice richiederebbe oltre un decennio a ritornare a livelli del 2007. Tanto più se si pensa che sono ormai anni che il trend è in diminuzione. Obbiettivi ambizioni dicevamo che, se si vuole ridurre i rifiuti sul serio e consistentemente e aumentare considerevolmente la raccolta differenziata, dovremmo però dar loro delle gambe con scelte precise che nel piano non ci sono (e che invece sono stati oggetto di alcune delle osservazioni presentate – e respinte - e oggetto delle risoluzioni collegate da me sottoscritte) come: una moratoria di tre anni nella realizzazione/ammodernamento/ampliamento degli impianti di incenerimento (in attesa di una verifica del trend reale di produzione dei rifiuti); prevedere l’obbligo di affidarsi al gestore unico, da parte dei comuni, per la sola gestione degli impianti e invece una adesione volontaria per la raccolta e lo spazzamento (valorizzando così le esperienze virtuose presenti in Toscana); responsabilizzare i gestori imponendo penali se non raggiungono gli obbiettivi di raccolta differenziata (mentre oggi la pagano i cittadini con l’eco tassa); una seria politica di incentivazione ai comuni per l’applicazione della tariffa puntuale e una che punti a una “de assimilazione attiva” dei rifiuti speciali assimilati agli urbani. Insomma volere è potere, come dimostrano i casi che anche in Toscana, con queste politiche, hanno portato a far schizzare in alto le percentuali in pochissimo tempo di raccolta differenziata e riduzione rifiuti, basterebbe metterli a sistema. Ma si è preferito il vecchio, si è preferito non rompere la gabbia del binomio produzione – inceneritori, anche al di là di quello che dice l’evidenza della realtà, svuotando di fatto quelli che potrebbero sembrare obbiettivi ambiziosi.

11.17.2014

Preparare la manifestazione del 29


Il Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista, convocato il giorno dopo dello sciopero generale della Fiom per valutare la nuova fase che si è aperta con la ripresa del conflitto sociale, per sottolineare la necessità di organizzare con cura la manifestazione nazionale del 29 novembre organizzata da “l’Altra Europa con Tsipras” e lo sciopero generale del 5 dicembre, si è oggi chiuso senza l’approvazione di alcun documento politico generale. In una situazione che vedeva una cinquantina di assenti, le diverse minoranze, alla fine del dibattito, hanno ritirato i loro 3 documenti per unire i voti e respingere 54 a 50 il documento presentato dalla segreteria nazionale. Siamo quindi nella situazione in cui minoranze che hanno progetti politici opposti si sono unite al solo fine di impedire al Partito di precisare la linea politica già decisa in congresso: siamo passati dal centralismo democratico alle imboscate parlamentari. Detto questo, la linea politica del partito rimane quella decisa a larga maggioranza dal congresso nazionale e ribadita nel documento varato dall’ultima Direzione Nazionale. Non sono state infatti avanzate in Comitato Politico Nazionale altre proposte politiche: quando lo saranno verranno discusse e votate dagli organismi dirigenti, a partire dalla prossima Direzione Nazionale. Confidando che chi ha a cuore l’esistenza del Partito della Rifondazione Comunista eviti di avere pratiche puramente distruttive e prive di proposta politica, invito tutti i compagni e le compagne a lavorare pancia a terra per la buona riuscita della manifestazione nazionale del 29 novembre. 

Hasta la victoria! 

Articolo di: Paolo Ferrero

11.07.2014

Sentenze MPS: un primo passo nella direzione giusta, ma non ancora sufficienti




Il PRC esprime parziale soddisfazione riguardo alla sentenza con la quale Mussari, Vigni e Baldassarri sono stati giudicati relativamente alla ristrutturazione del derivato Alexandria. Un primo passo nella direzione giusta, ma non ancora sufficiente. Infatti in questa vicenda sono troppo gravi le responsabilità sia penali che politiche per cavarsela con una condanna in un reato relativamente secondario rispetto alle dimensioni del danno causato alla banca e alla città. In attesa che termini anche il processo principale trasferito a Milano, i cittadini dovrebbero prendere piena consapevolezza di quali forze politiche hanno ridotto in questo stato la Banca, la Fondazione e la città di Siena. Decidendo di cambiare, altrimenti una presa di visione della situazione fine a sè stessa è tutto inutile. La Fondazione MPS era il principale bene comune della città, realizzato con il sudore dei dipendenti ed i risparmi dei cittadini di Siena, nel corso di secoli di investimenti accorti e prudenti. Rappresentava una fonte di Stato Sociale e servizi di qualità per i cittadini, specie per le categorie più deboli della società. La Fondazione è stata purtroppo usata anche per altro, in modo sbagliato, con elargizioni clientelari erogate a soggetti che non mettevano in campo progetti realmente utili, ma che assicuravano un sostegno politico ed elettorale ad una parte -e solo a una- della città. Ma sicuramente anche queste distorsioni odiose dell'attività della Fondazione non sono sufficienti a giustificare da sole il disastro che è avvenuto. Qualcuno ha deciso di "privatizzare" questo bene comune, facendo perdere la quota di controllo della Fondazione e dilapidarne il patrimonio in operazioni scellerate come l'acquisto di Antonveneta e Banca 121 (nelle quali qualcuno vede irresponsabilità e imprudenza, mentre qualcun'altro vede malafede e interessi politici ed economici personali). Come in altre privatizzazioni meno recenti, si è deciso di svendere un bene comune della collettività per farlo finire nelle mani di pochi amici, felici di assicurare un ritorno economico alle parti politiche che si sono accollate la responsabilità di compiere il "lavoro sporco" per questi signori. Un'indicazione alla privatizzazione che è avvenuta -e continua ad avvenire anche in altri ambiti- sicuramente a livello di politica nazionale, ma che i referenti senesi hanno eseguito quasi senza battere ciglio e senza considerare le conseguenze che si sarebbero ripercosse così duramente sul nostro territorio. A differenza di altri gruppi politici, che sostengono che il problema del Monte dei Paschi è stato l'averla affidato la Banca ai "politici" o ai "non-senesi", Rifondazione Comunista ritiene che il problema stia principalmente nell'averla affidata ai "politici sbagliati", che l'hanno usata per i propri scopi e per la propria parte, anziché negli interessi della cittadinanza tutta. Riteniamo inoltre che sia giusto che la cittadinanza eserciti una funzione di controllo sulle politiche della Banca, a fronte del fatto che tale Banca deve molto al lavoro dei dipendenti e ai risparmi dei cittadini. Che tuttavia gli stessi cittadini, negli ultimi anni, si siano dimostrati poco attenti alla situazione MPS, delegando questo potere di controllo alle persone sbagliate senza vigilare su quanto stavano facendo. E riteniamo infine che alcune persone che avevano gli strumenti e la responsabilità di capire e denunciare quello che stava succedendo hanno deciso, talvolta anche per ragioni di utilità economica personale, di girare lo sguardo da un'altra parte. Rifondazione Comunista in passato aveva avanzato la proposta di suddividere il Monte dei Paschi in una "bad bank" che si accollasse la maggior parte delle passività, da quotare in borsa, e una "good bank" più piccola e con meno passività, nella quale la Fondazione potesse continuare a detenere quote rilevanti e svolgere un qualche ruolo di indirizzo in favore delle politiche sociali e produttive del territorio. Fondazione e Banca si sono mosse nella direzione opposta, accollando le perdite alla collettività e facendo calare fino al 2% le quote di proprietà della Fondazione. Di recente è tornata d'attualità la proposta che facemmo all'epoca, ma realizzarla in questo momento, dopo che i buoi sono ormai già scappati dalla stalla, è una scelta ormai fuori tempo massimo. Di certo la città non si risolleverà continuando ad affidarsi alle forze politiche che la hanno affondata. Ancora una volta, è ora di cambiare, altrimenti è tutto inutile. 

Circolo del Partito della Rifondazione Comunista "Viro Avanzati" Siena

10.12.2014

La truffa delle "nuove" Province




Oggi 12 ottobre, con le elezioni del nuovo consiglio provinciale, si porterà a compimento il primo passaggio significativo dell'attacco alla democrazia conseguente ai provvedimenti approvati e in fase di approvazione del governo Renzi. Il decisionismo che annulla le rappresentanze politiche e territoriali è il mantra con cui il nuovo uomo della provvidenza promette l'uscita dalla crisi. A nostro modo di vedere è invece l'esatto contrario: l'abbassamento dei livelli di democrazia e quindi di livelli di discussione e elaborazione riusciranno solamente a consolidare i limiti congeniti che nel nostro paese hanno aggravato gli effetti della crisi internazionale. Nel caso delle provincie in particolare le assurdità della legge fortemente voluta da Renzi e dal suo sottosegretario Del Rio mostrano con tutta evidenza il distacco abissale tra la rappresentanza popolare e i livelli decisionali. Nella nostra provincia ad esempio si andrà a votare un consiglio composto da membri scelti ed eletti dalla comunità dei consiglieri e dei sindaci dei 36 comuni senesi e con un meccanismo che prevede addirittura il voto ponderato, ovvero più pesante per i sindaci e i consiglieri dei comuni piu grandi. La naturale conseguenza di ciò è che un cittadino di Monticiano conta meno di un cittadino di Poggibonsi. Il nuovo consiglio inoltre avrà ancora tutte le competenze e poteri in termini di pianificazione e programmazione di quelli che storicamente in 63 anni di storia democratica delle provincie erano stati eletti a suffragio universale e direttamente dai cittadini; un consiglio che difficilmente potrà rispondere ai cittadini per le proprie scelte e che soprattutto non avrà il contrappeso delle funzioni di controllo esercitato storicamente dalle opposizioni. Per questi motivo i nostri consiglieri non pateciperanno al simulacro di queste elezioni nella convinzione che il rapporto diretto tra eletti e cittadini prescritto dalla nostra Costituzione debba rimanere l'orizzonte di chi vuol difendere la democrazia ed evitare derive che ricordano tristemente un impianto istituzionale funzionale ad un solo uomo al comando. 

Francesco Andreini - Segretario Federazione provinciale PRC Siena

9.13.2014

A proposito delle dichiarazioni di Profumo

Rimaniamo sbigottiti rispetto al totale stravolgimento della realtà delineato nell'intervento dell'AD di MPS Alessandro Profumo così come riportato nell'articolo del Corriere di Siena del 9/9/14. La Fondazione MPS ha rappresentato per decenni il principale Bene Comune della città e la sua principale fonte di welfare territoriale. Era di proprietà pubblica perché i cittadini, l'amministrazione comunale e i lavoratori della Banca hanno sempre lavorato sodo, risparmiato per costruire un sistema previdenziale alternativo per le future generazioni di senesi e hanno esercitato un controllo rigoroso affinché la banca rifuggisse da operazioni spregiudicate e rischiose, preferendo investimenti meno redditizi ma sicuri, nella consapevolezza che gran parte del benessere della città derivasse dal suo stato di salute. Nell'arco di pochissimi anni una gestione non più partecipata ha dilapidato il capitale accumulato, in tanti secoli di lavoro e investimenti oculati, da questa comunità. Decisioni "errate" ( chiamiamole così ) come quella di acquistare Antonveneta per 10 mld di euro, a più di tre volte il suo valore reale: una "Caporetto spensierata" o un "acquisto suicida" come hanno titolato taluni giornali nazionali. Eppure in quel periodo ancora si discuteva se MPS dovesse seguire la “moda” della concorrenza spietata e diventare una delle prime banche europee, o restare la banca con una lunga storia, ma ancorata saldamente al suo territorio. Gli squilibri di bilancio causati da tale azione oggi si riverberano sui dipendenti del Monte e sui cittadini che erano beneficiari del welfare della Fondazione, passata nel frattempo ad un misero 2,5% del capitale azionario. Ma per Profumo no, il problema non è stato l'affaire Antonveneta, quanto "la scelta ottusa" di continuare a mantenere il 51% del Monte di proprietà della Fondazione, a beneficio dei cittadini. Di coloro che cioè hanno costruito la grandezza della banca. A chi sta realmente parlando Profumo ? Alla città o ai suoi nuovi azionisti ? La logica della sua affermazione ci sfugge. Non si può riscrivere la storia a proprio uso e consumo. 

4.09.2014

Incontro pubblico “Sulla Politica Internazionale dell’Unione Europea” con i candidati della Circoscrizione Centro



Si terrà lunedì 14 aprile alle ore 21, nella saletta dei Mutilati, in viale Maccari 3 (La Lizza) a Siena un incontro e dibattito organizzato dal Comitato Senese ‘L’Altra Europa con Tsipras’ che vedrà la partecipazione di Fabio Amato e Raffaella Bolini, candidati alle elezioni europee del 25 maggio nella Circoscrizione Centro. Fabio Amato è coordinatore della campagna del Partito della Sinistra Europa per Tsipras, dell’esecutivo della SE, responsabile esteri del PRC. Protagonista della costruzione della Sinistra Europea e della candidatura di Alexis Tsipras, ha partecipato alle campagne contro i trattati neoliberisti dell’UE, per un’Europa sociale e del lavoro. Raffaella Bolini è componente della Presidenza Nazionale dell'Arci, coordinatrice delle Relazioni internazionali, e del gruppo di lavoro nazionale su beni comuni. Da sempre attivista nella costruzione e nella manutenzione dei movimenti sociali per la pace, contro il razzismo, per la solidarietà internazionale, per un altro mondo e un'altra Europa possibile. L’incontro “Sulla Politica Internazionale dell’Unione Europea” verterà in particolare sulla situazione Ucraina e Siriana, sull’intreccio degli scenari politici e la gestione delle risorse energetiche e sulla denuncia dei nuovi trattati commerciali tra UE e USA con il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) ancora in via di definizione. Allo stato attuale il TTIP propone di abbattere regole, diritti, tutele. L'accordo che si sta negoziando prevede la rimozione di elementi giuridici, norme e regolamenti che possano nuocere alla "libertà" di fare commerci ed investimenti tra UE e USA. Ovvero tra le loro multinazionali, o imprese, che sempre più si vuole che dettino legge sostituendosi ai Parlamenti e, naturalmente, ai cittadini. Si vorrebbe, tra l’altro, imporre un drastico accordo al ribasso su alcune garanzie essenziali: oltre alla questione degli OGM, si pensi all’uso dei pesticidi, all’obbligo di etichettatura del cibo, alle soglie per la valutazione del danno ambientale delle imprese, all’uso indiscriminato del fracking per estrarre il gas di scisto, alla protezione dei brevetti farmaceutici – tutti ambiti nei quali la legislazione europea offre al cittadino-consumatore tutele inesistenti negli USA. Con l’approvazione del TTIP verrebbe liberalizzato praticamente tutto: i prodotti agricoli e industriali, l'energia, i diritti di proprietà intellettuale, le imprese di proprietà statale, i servizi. L'elenco completo è molto più lungo. E dunque, con il TTIP, nessun divieto agli OGM in agricoltura e agli ormoni negli allevamenti. Tutta la normativa sui marchi DOP, DOC a denominazione d’origine, potrebbe essere messa in discussione. Vogliamo proporre le ragioni di una politica estera europea orientata alla pace e alla solidarietà internazionale, autonoma dagli interessi strategici americani e da quelli esclusivamente economico-finanziari imposti dai paesi forti del nord-europa. Così come vogliamo opporci a un trattato gestito direttamente da una elite transnazionale che, superando i confini tradizionali fra Stato e privati, tra governi e imprese, si sottrae ad ogni possibile controllo democratico; ottenere il ritiro di quello che rappresenta un disegno complessivo e totalizzante di un’Europa al servizio dei mercati, metterebbe automaticamente in campo l’opzione di un’altra Europa possibile, quella dei popoli, dei beni comuni, dei diritti e della democrazia. 

Il comitato senese L'ALTRA EUROPA PER TSIPRAS si riunisce tutti i martedì alle 21 presso il Circolo Città domani (via Aretina 61) a Siena!

Sito del Comitato Senese: http://sienapertsipras.wordpress.com 
Sito ufficiale: www.listatsipras.eu 
 Per informazioni: 335.7113019


4.06.2014

Anche Rifondazione è preoccupata per lo sviluppo della situazione Novartis



Pur sapendo che difficilmente il Segretario Generale della Filctem CGIL si riferisse a noi, ci permettiamo di rispondere alla richiesta del compagno Goracci, che nell'articolo pubblicato sul Corriere di Siena il 5 aprile chiedeva ai “vari” schieramenti politici di condividere o meno le sue preoccupazioni. Ebbene sì, noi quelle preoccupazioni le condividiamo. E non solo. Le preoccupazioni nostre vanno anche oltre. Il fatto che il sindaco Valentini in un altro articolo riguardante lo stesso tema Novartis (Corriere Fiorentino del 1 aprile) presentasse l'eventuale cessione del settore vaccini come un'opportunità per “forze fresche” che potrebbero acquisire il settore fa capire che persiste ancora una smisurata fiducia nel “mercato”. Neppure le sentenze dell'Antitrust che riguardano la stessa ditta riescono a far capire che il mercato, avendo come unico obiettivo il profitto, non potrà mai essere la soluzione dei nostri problemi (Roche e Novartis sono stati “scoperti” recentemente a stipulare accordi per stabilire prezzi più vantaggiosi, in barba alla cosiddetta concorrenza, e multati per 183 milioni). Un paio di mandati amministrativi fa nel programma elettorale del sindaco Cenni era stato introdotto un punto riguardante i cosiddetti “brevetti sociali”, ovvero non soggetti al libero mercato, di proprietà pubblica. Era un tentativo di cambiamento di rotta, chiesto dal nostro Partito, che non ha incontrato un grande consenso, pare. Tra l'altro è di questi giorni una sentenza del Consiglio di Stato che rigetta il tentativo di alcuni cittadini di bloccare la cessione di beni pubblici da parte di istituzioni per mettere gli stessi sul “mercato”; nella sentenza si respinge il ricorso al TAR del Piemonte perché "esso chiede di veder modellata l’organizzazione dei servizi pubblici comunali secondo le aspirazioni socio economiche, in contrasto con le norme e i principi comunitari e nazionali che tutelano i valori della legalità, del libero mercato e della concorrenza”... 
Che dire?! Noi siamo pronti a dare battaglia e aspettiamo, anche noi come Goracci, che altri si esprimano. 

Francesco Andreini Segretario PRC provincia di Siena 
Angela Bindi Consigliera PRC Comune di Sovicille

3.13.2014

TTIP: l’utopia delle multinazionali

 di Marco Bersani


La crisi sovverte e modifica il quadro geopolitico internazionale, mutando i rapporti di forza a livello internazionale e rimettendo in discussione egemonie storiche, sinora date per indiscutibili. Da una parte le nuove potenze emergenti del Sud del mondo, quali Brasile, India, Sudafrica e Messico continuano a crescere e sviluppare il proprio mercato interno, rivelandosi difficilmente controllabili attraverso gli strumenti vecchi dei Forum internazionali, come il G20, e, in alcuni casi, rafforzando la costruzione di nuove aree commerciali regionali sottratte all’influenza statunitense, come l’area Mercosur in America Latina; dall’altra, sul versante pacifico, l’asse economico e geo-politico tra il gigante cinese e la Russia si va prepotentemente affermando come epicentro degli equilibri mediorientali ed asiatici, in una graduale scalata al ruolo di leadership globale. Recenti statistiche affermano come la produzione economica combinata di Brasile, Cina e India supererà entro il 2020 quella di Canada, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, e come, entro il 2030, più dell’ 80% della classe media del mondo vivrà a sud. Stretto nella morsa dei nuovi candidati all’egemonia internazionale, con il vecchio partner europeo intrappolato nella spirale delle politiche monetariste basate sull’austerità, lo stanco impero statunitense affila le unghie e adotta una nuova ambiziosa strategia per la riconquista di una nuova egemonia globale diffusa. Nasce da questa esigenza degli Usa l’enorme programma di smantellamento delle residue barriere -commerciali, giuridiche, politiche- al libero commercio e alla libertà di investimento messo in campo in direzione dell’Europa, attraverso il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e in direzione di 11 paesi che affacciano sul lato del pacifico (Messico, Canada, Cile, Perù, Giappone, Australia, Malesia, Singapore, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei) attraverso il TPP (Transpacific Patrnership). L’obiettivo è la creazione della più grande area di libero scambio del pianeta,che comprenderà economie per circa il 60% del prodotto interno lordo mondiale, interamente governata dalle più potenti multinazionali economiche e finanziarie, agli interessi delle quali andranno sacrificati tutti i diritti sociali e del lavoro, i beni comuni e la stessa democrazia. Se per gli Usa il TTIP rappresenta la necessità di “legare” alla propria economia il massimo numero di aree geo-politiche e commerciali possibili, per l’Unione Europea si tratta della più evidente e definitiva dichiarazione di resa di un continente che, già da tempo, attraverso la scelta della via rigorista e monetarista in economia, ha deciso di rinunciare alla propria originalità -quella di uno stato sociale, frutto del compromesso fra capitale e lavoro del secondo dopoguerra- per consegnarsi alle leggi dell’impresa. Se, fino all’inizio del nuovo millennio, l’Europa si presentava in maniera aggressiva dentro i contesti degli accordi internazionali – pensiamo al ruolo dell’UE all’interno del Gats nell’Organizzazione Mondiale del Commercio- presentandosi come un continente che, lungi dal proteggere le popolazioni dalla globalizzazione neoliberista, si candidava ad assumerne la guida, con l’adesione ai negoziati per il TTIP, l’Europa dichiara il fallimento di quella strategia e, nel contempo, rinuncia ad ogni tentativo di esercitare un proprio protagonismo sociale, per giocare la partita di una competizione internazionale, tutta giocata al ribasso in tema di diritti del lavoro, di beni comuni e servizi pubblici, di diritti sociali e ambientali. Ma, al di là delle esigenze geo-politiche, il significato profondo del processo in corso con il TTIP (e con il gemello asiatico del TPP) è la consegna, dietro la strategia di riconquista della scena internazionale da parte dei vecchi padroni del mondo (Usa – Ue – Giappone), delle sorti del pianeta ad un disegno di politica economica mondiale che vede, forse non per la prima volta ma certo mai con questa intensità.,il totale protagonismo politico delle grandi multinazionali, non più “relegate” ad un ruolo di influenza e pressione esterna sulle istituzioni politiche, bensì sedute a pieno titolo e in posizione privilegiata nei tavoli di negoziazione. Questo fatto rende il TTIP il luogo, dentro il quale si profila, per la prima volta nella storia, la costruzione a tavolino di un’area planetaria di libero scambio messa in campo da un’ elite transnazionale che, superando i confini tradizionali fra Stato e privati, tra governi e imprese, si sottrae ad ogni possibile controllo democratico. Di fatto, e se approvato, il TTIP realizzerebbe l’utopia delle multinazionali : un pianeta al loro completo servizio, fino al punto di poter chiamare in giudizio presso una corte speciale, composta da tre avvocati d’affari rispondenti alle normative della Banca Mondiale, un qualsiasi paese firmatario, la cui scelte politiche potrebbero avere un effetto restrittivo sulla loro “vitalità commerciale”; potendole sanzionare con pesantissime multe per avere, con le proprie legislazioni, ridotto i loro potenziali profitti futuri. E per le elites dell’Ue rappresenterebbe anche la possibilità di superare in avanti, attraverso un “meta- trattato” strutturale, l’attuale difficoltà nell’ imporre, Stato per Stato e governo per governo, le politiche di austerità e di smantellamento dello stato sociale, artificialmente indotte dalla crisi del debito pubblico. L’opposizione radicale al TTIP, oltre che una inderogabile necessità per le vertenze e le conflittualità promosse da qualsiasi movimento sociale attivo, rappresenta anche una grande opportunità : ottenere il ritiro “senza se e senza ma” di quello che rappresenta un disegno esaustivo e totalizzante di un’Europa al servizio dei mercati, metterebbe automaticamente in campo l’opzione di un’altra Europa possibile, quella dei popoli, dei beni comuni, dei diritti e della democrazia.

Consigliamo in proposito la lettura del numero di marzo del "Granello di sabbia", mensile di Attac, un numero monografico dedicato interamente al TTIP, consultabile online cliccando qui!

3.06.2014

Elezioni europee: con Alexis Tsipras, con la sinistra d'alternativa!



Il prossimo maggio, in concomitanza con le elezioni amministrative, saremo chiamati al voto anche per rinnovare la Commissione e il Parlamento europei. L'occasione è importante per marcare una netta differenza rispetto al passato nella gestione del vecchio continente. E' necessaria una svolta totale: per decenni, dopo il crollo del blocco orientale, l'Europa ha subito la ormai tradizionale egemonia economico-culturale degli Stati Uniti, insieme al tentativo di generare una propria soggettività economica e commerciale (sempre inserita nell'orbita USA). Ecco che, di concerto con l'affermazione del neoliberismo in salsa anglo-americana, l'UE intraprende una stagione di politiche monetarie, il cui esordio fu il trattato di Maastricht nel 1992, che la porta con il tempo alla strutturazione di un assetto finanziario centralizzato sulla BCE e sulla potenza tedesca. Con l'esplosione della bolla speculativa del 2007/2008 e l'inizio della crisi economica, l'Europa della libera circolazione delle persone e delle merci e della moneta unica, egemonizzata dal capitale tedesco e dai suoi interessi, inaugura una fase di regressione della capacità statale nell'offerta dei servizi, di aumento della tassazione sul lavoro e sulla produzione, di accentramento di ogni potere (economico, politico, finanziario) sui paesi forti dell'Unione e in particolare sulla Germania, che va sotto il nome di Austerità. In nome del salvataggio dei grandi capitali europei, molti paesi cosiddetti periferici, come la Grecia, hanno dovuto pagare un tributo altissimo, con gravissime ripercussioni sull'occupazione e il tenore di vita della popolazione locale. Come sappiamo l'Italia fa parte di quei paesi che stanno subendo più di tutti la crisi e l'Austerità: anche da noi misure come il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio in Constituzione, l'aumento percentuale dell'IVA, il Patto di Stabilità e molto altro che dovevano servire per sanare il debito pubblico del nostro Paese, si sono rivelati un cappio al collo per ogni tipo di attività produttiva di piccole dimensioni, per i lavoratori e per tutte le fascie deboli della popolazione. L'alternativa, a queste elezioni, è rappresentata dalla proposta della Sinistra Europea (di cui fa parte anche Rifondazione Comunista) di lanciare una lista di sinistra autonoma dal Partito Socialista Europeo (uno dei maggiori sostenitori delle misure di Austerità) con candidato alla presidenza della Commissione Europea Alexis Tsipras, parlamentare greco e leader del Partito di Syriza, il più grande raggruppamento greco della sinistra radicale. L'obiettivo è quello di ridisegnare completamente l'assetto monetario, economico e politico dell'Unione Europea, verso la riaffermazione della sovranità nazionale, l'autodeterminazione dei popoli e la redistribuzione popolare della ricchezza, impedendo la possibilità a qualunque dei paesi dell'Unione di egemonizzare con i propri capitali l'Unione stessa, a discapito di tutti gli altri. La sfida è grande e difficile, ma la ragione politica e la necessità oggettiva di voltare completamente pagina con il neoliberismo, nella prospettiva di un definitivo superamento del capitalismo europeo (vero responsabile dell'Austerità) rende quest' operazione valida, oltre al fatto che all'oggi è l'unica alternativa credibile alle solite ricette dette con parole diverse. 

Rifondazione Comunista è con i popoli d'Europa, Rifondazione Comunista è con Alexis Tsipras!

2.27.2014

La nuova legge elettorale peggiore della precedente

La Costituzione della Repubblica italiana definiva in modo chiaro i ruoli dei vari organi dello Stato. Il Parlamento doveva fare le leggi, trovando convergenze particolari sui singoli provvedimenti. Al governo toccava eseguire (non a caso si chiama “esecutivo”) e solo in casi di provata emergenza poteva emanare decreti-legge, scavalcando il Parlamento. Eppure da vent’anni a questa parte si è avuto un progressivo stravolgimento dei ruoli. I governi (di tutti i colori) hanno iniziato a decidere a suon di decreti, che il parlamento poi doveva solo ratificare. Si è creato il mito della “governabilità” si è preteso di semplificare il quadro politico, cancellando le voci fuori dal coro. E parte essenziale di questo disegno volto a blindare un certo ceto politico, è stata la modifica del sistema elettorale. Le riforme del ’93 (mattarellum) e del 2006 (dal nome significativo di “porcellum”) sono servite a comprimere le diverse opzioni politiche in due blocchi simili, che hanno finto per alcuni anni di essere alternativi fra loro, per poi finire a governare allegramente assieme, in nome e per conto delle banche e dei poteri forti. La legge elettorale del 2006 aveva permesso l’imposizione di questo regime bipolare: 
  1. imponendo ai partiti indipendenti una percentuale minima -per entrare in Parlamento- doppia rispetto ai partiti coalizzati. Cioè un partito fuori dal coro per entrare in Parlamento aveva bisogno del 4%, mentre una forza “allineata” poteva accedere con soltanto il 2% dei voti. 
  2. imponendo la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera alla forza che prendeva più voti, anche se sul piano proporzionale era molto lontana dal 50%. Così si escludeva a priori la necessità costituzionale di ricercare una maggioranza sui singoli provvedimenti. 
  3. imponendo liste bloccate di persone scelte dai dirigenti di partito, senza la possibilità per i cittadini di esprimere preferenze o manifestare “distinguo” all’interno dei singoli partiti. 
Dopo sette anni dall’approvazione del “porcellum” finalmente la Corte Costituzionale ha emesso la sentenza di incostituzionalità per i tre motivi sopra elencati. E la risposta delle due principali forze politiche (PD e PDL) quale è stata? Semplicemente reinventarsi una nuova legge elettorale, che RIPROPONE TUTTI E TRE GLI ELEMENTI DI INCOSTITUZIONALITA’, OLTRETUTTO INGIGANTITI. Infatti nel disegno Renzi-Berlusconi : 
  1. Si ripropongono gli sbarramenti “differenziati” fra i partiti fuori dal coro ed i partiti allineati. Semplicemente si raddoppiano le percentuali minime (8% per i partiti indipendenti–4,5% per gli allineati). In più si inventano meccanismi che consentono di entrare in Parlamento anche agli “allineati” che non raggiungono la quota (altro che semplificazione!) 
  2. Si ripropone il premio di maggioranza assoluta per la forza che prende più voti, e se da un lato si stabilisce almeno una quota minima (35 o 37%) per far scattare il premio, dall’altro si estende ad entrambe le camere, blindando la maggioranza. 
  3. Si ripropongono le liste bloccate, senza possibilità di esprimere preferenze, esattamente come nel “porcellum”. 
Sicuramente la nuova legge elettorale –se verrà approvata- sarà oggetto di una bocciatura da parte della Corte Costituzionale, esattamente come la precedente. Ma con i tempi biblici di cui hanno bisogno gli organismi giudiziari italiani, nel frattempo la classe dirigente si sarà assicurata un altro decennio di potere senza interferenze...

Una nota sul mio ex-professore: Pier Carlo Padoan

di Emiliano Brancaccio 

 Pier Carlo Padoan fu uno dei miei professori durante i corsi del master in Economia del Coripe Piemonte, presso il Collegio Carlo Alberto. Sebbene fosse un master rigorosamente “mainstream”, ricordo che le lezioni di alcuni docenti, come Luigi Montrucchio e Giancarlo Gandolfo, suscitavano il nostro vivo interesse e alimentavano le discussioni. Tra i docenti c’era pure Elsa Fornero, che nel ruolo di professoressa rendeva indubbiamente molto meglio che in quello successivo di ministra. Rammento che invece non eravamo particolarmente entusiasti delle lezioni di Padoan. Forse a causa degli alti incarichi che all’epoca già ricopriva, in aula appariva un po’ distratto, vagamente annoiato, non particolarmente persuaso dai grafici che egli stesso tracciava sulla lavagna. Di una cosa tuttavia il nostro pareva convinto: la sostenibilità futura della nascente moneta unica europea era da ritenersi un fatto ovvio, fuori discussione. Era il 1999, data di nascita dell’euro, e Padoan guarda caso teneva il corso di Economia dell’Unione europea. Una volta gli chiesi cosa pensasse delle tesi di quegli economisti, tra cui Augusto Graziani, che esprimevano dubbi sulla tenuta dell’eurozona; domandai, in particolare, quale fosse la sua valutazione di quegli studi che già all’epoca criticavano l’idea che gli squilibri tra i paesi membri dell’Unione potessero essere risolti a colpi di austerità fiscale e ribassi salariali. A quella domanda Padoan non rispose: si limitò a scrollare le spalle e a sorridere, con un po’ di sufficienza. All’epoca in effetti l’atteggiamento di Padoan era piuttosto diffuso. L’euro veniva considerato un fatto definitivo, discutere di una sua possibile implosione era pura eresia. Ben pochi, inoltre, si azzardavano a dubitare delle virtù taumaturgiche dell’austerità. Da allora evidentemente molte cose sono cambiate. Sulla capacità delle politiche di austerity di rimettere in equilibrio la zona euro, in accademia lo scetticismo sembra ormai prevalente. Come segnalato anche dal “monito degli economisti” pubblicato sul Financial Times nel settembre scorso, esponenti delle più diverse scuole di pensiero concordano nel ritenere che le attuali politiche stiano in realtà pregiudicando la sopravvivenza dell’Unione. Persino il Fondo Monetario Internazionale critica la pretesa di riequilibrare l’eurozona puntando tutto su pesanti dosi di austerity a carico dei paesi debitori. Insomma, la dura realtà dei fatti costringe i più a rivedere i vecchi pregiudizi. Ma Padoan, che oggi si accinge a lasciare l’OCSE e ad assumere l’incarico di ministro dell’Economia, ha cambiato la sua opinione? Non direi. In un’intervista rilasciata poco tempo fa al Wall Street Journal, il nostro ha affermato che la crescente sfiducia verso l’austerity è solo “un problema di comunicazione” visto che a suo avviso “stiamo ottenendo risultati”. E ha aggiunto: “Il risanamento fiscale è efficace, il dolore è efficace”. Ci sono due modi per interpretare questa affermazione. Il primo è che Padoan stia cinicamente interpretando l’austerity come fattore di disciplinamento sociale. Dal punto di vista dei rapporti di forza tra le classi sociali ci sarebbe del vero in questa idea. Mettendola in questi termini, tuttavia, Padoan sottovaluterebbe il fatto che l’austerity sta anche contribuendo alla cancellazione di ogni residua istanza di coesione tra i popoli europei. Il secondo modo di interpretare Padoan è che egli ritenga tuttora che le attuali politiche aiuteranno il rilancio dell’economia. In questo caso avanzerei il sospetto che Padoan sia stato sedotto dai risultati di un suo ardimentoso studio recente, secondo il quale i paesi che passano da una situazione di indebitamento ad una di avanzo estero, e che immediatamente attivano politiche di austerity in grado di abbattere il rapporto tra debito e Pil, hanno maggiori probabilità di aumentare la crescita della produzione. Ora, anche volendo trascurare gli enormi limiti di significatività di questo studio, il problema è che esso entra in contraddizione con le evidenze oggi disponibili: non ultimo il fatto che l’austerity non sta affatto determinando una riduzione del rapporto tra debito e Pil [1]. In un caso o nell’altro, non deve meravigliare che Paul Krugman abbia tratto spunto dalla improvvida dichiarazione di Padoan per commentare che “certe volte gli economisti che occupano cariche pubbliche danno cattivi consigli; altre volte danno pessimi consigli; altre ancora lavorano all’OCSE”. E altre volte ancora, aggiungiamo noi, diventano ministri dell’Economia di un governo che anziché fare uscire il Paese dalla crisi rischia di affondarlo definitivamente. 


 [1] de Mello, L., P. C. Padoan and L. Rousová (2011), “The Growth Effects of Current Account Reversals: The Role of Macroeconomic Policies”, OECD Economics Department Working Papers, No. 871, OECD Publishing.

Una prima riflessione sul congresso della CGIL

 Tratto dall'intervento di Arianna Ussi in Direzione Nazionale del PRC


Proprio in questi giorni, si sono concluse le assemblee di base della CGIL e si stanno aprendo i congressi provinciali di categoria. Al di là delle percentuali ottenute dai singoli documenti congressuali, credo che occorra avviare una prima riflessione su alcuni elementi di fondo. Innanzitutto, sulla bassa partecipazione degli iscritti cui in alcuni casi, corrisponde una mancanza di dibattito o di consapevolezza del tipo di assemblea in corso. C’è, indubbiamente, un senso di disaffezione e di sfiducia da parte di molti lavoratori nei confronti del sindacato e della sua deriva burocratica. Laddove, però, si sviluppa un dibattito, emerge con forza una contrapposizione ed un divario tra le burocrazie sindacali, lontane dai bisogni concreti dei lavoratori, da una parte, ed i lavoratori in carne ed ossa, con le loro istanze e le loro rivendicazioni, dall’altra. In secondo luogo, credo non si possa tacere l’assenza di democrazia che ha caratterizzato questa fase congressuale, in cui è evidente il clima di “normalizzazione” interna che la segreteria Camusso vuole imporre, come testimoniano la vicenda di Landini e quella, gravissima, dell’aggressione a Cremaschi, a cui addirittura è stato impedito di parlare. In realtà, anche in molte assemblee ci sono stati tentativi di limitare il dibattito, impedendo in vario modo a coloro che portavono posizioni critiche di esprimersi liberamente. Dobbiamo, innanzitutto, contrastare in modo netto la pericolosa deriva neocorporativa della CGIL della segreteria Camusso che si candida, di fatto, a cogestire il potere e non essere più un sindacato di rivendicazioni, ma un freno al conflitto sociale. Pertanto, la nostra deve essere una posizione di contrasto agli accordi padronali, da quello del 28 giugno fino all’accordo del 10 gennaio, che stanno portando ad uno snaturamento del sindacato. In questo senso, la proposta di legge "Piano per il lavoro" portata avanti dal nostro Partito, che si pone l'obiettivo di dare risposta alla crisi economica e alla gravissima situazione occupazionale, può fornire degli elementi di discussione ed assumere un ruolo propositivo, nel dibattito tanto congressuale quando esterno. 

Mussolini, Craxi, Berlusconi e ora Renzi: un nuovo "uomo della provvidenza"

Tratto dall'intervento di Arianna Ussi alla Direzione Nazionale del PRC

La formazione del governo Renzi segna un ulteriore spostamento a destra del quadro politico-istituzionale del Paese, che porterà ad un’accelerazione del processo di svuotamento delle istituzioni democratiche, ad una precipitazione in senso presidenzialista, ad un attacco, ancora più feroce e sistematico ai lavoratori ed alle loro tutele. Le modalità che hanno portato alla defenestrazione di Letta ed alla formazione del nuovo governo, il ruolo del presidente Napolitano, la scelta stessa dei ministri voluti da Renzi, parlano chiaro. Una nuova ondata di privatizzazioni porterà alla svendita del paese ai capitali nostrani e stranieri di acqua, energia, sanità, trasporti, e del patrimonio immobiliare. La scuola e l’università saranno, ancora una volta, tra i primi settori di intervento del governo. Del resto, l’indirizzo politico che quest’ultimo vuole perseguire è già stato palesato dalla neo-ministra Giannini, coordinatrice politica di Scelta Civica, e dalla sua concezione classista di scuola ed università. Il mai accantonato progetto aziendalistico dell’ Aprea diverrà relatà. “Le scuole si scelgano i propri insegnanti!” significa che la chiamata diretta dei dirigenti scolastici, che in questi anni di mobilitazioni abbiamo fortemente combattuto, determinerà un sistema piramidale e clientelare di tipo feudale, fortemente gerarchizzato, specie se, se verranno aboliti gli scatti di anzianità e introdotte differenziazioni salariali in senso meritocratico. Nei luoghi di lavoro, assisteremo ad un’ulteriore stretta reazionaria che si tradurrà in un attacco sistematico e generalizzato a diritti e salari, sempre più contrapposti tra loro, secondo una logica ricattatoria che trova nel modello Pomigliano e nel più recente modello Electrolux due esempi pericolosamente paradigmatici, che le classi dominanti tenderanno ad estendere ed imporre in ogni settore produttivo. E, all’interno di un pesante clima di repressione e criminalizzazione del dissenso (basti pensare ai provvedimenti restrittivi nei confronti dei disoccupati, a Napoli, e degli attivisti del movimento per la casa, a Roma), i primi ad essere colpiti saranno proprio i comunisti, che già adesso pagano la loro coerenza e la loro determinazione a non piegarsi, ma ad esporsi sempre, nei luoghi di lavoro come nel sindacato e nelle istituzioni.

2.25.2014

In Venezuela è a rischio la democrazia

di Ignacio Ramonet da Il manifesto 


Nei mesi scorsi, in Vene­zuela, ci sono state quat­tro ele­zioni deci­sive: due pre­si­den­ziali, il voto per i gover­na­tori e infine le muni­ci­pali. Tutte vinte dal blocco della rivo­lu­zione boli­va­riana. Nes­sun risul­tato è stato impu­gnato dalle mis­sioni degli osser­va­tori inter­na­zio­nali. La vota­zione più recente ha avuto luogo appena due mesi fa… E si è con­clusa con una netta vit­to­ria –11,5% di dif­fe­renza – dei cha­vi­sti. Da quando Hugo Chá­vez ha assunto la pre­si­denza nel 1999, tutte le tor­nate elet­to­rali mostrano che, socio­lo­gi­ca­mente, l’appoggio alla rivo­lu­zione boli­va­riana è maggioritario. In Ame­rica latina, Chá­vez è stato il primo lea­der pro­gres­si­sta – dai tempi di Sal­va­dor Allende – che ha scelto la via demo­cra­tica per arri­vare al potere. Non si può capire il cha­vi­smo se non si con­si­dera il suo carat­tere pro­fon­da­mente democratico. La scom­messa di Chá­vez ieri, e di Nico­lás Maduro oggi, è il socia­li­smo demo­cra­tico. Una demo­cra­zia non solo elet­to­rale. Anche eco­no­mica, sociale, cul­tu­rale… In 15 anni il cha­vi­smo ha con­sen­tito a milioni di per­sone – che in quanto poveri non ave­vano carta d’identità – lo sta­tuto di cit­ta­dini e ha con­sen­tito loro di votare. Ha devo­luto oltre il 42% del bilan­cio dello Stato agli inve­sti­menti sociali. Ha tolto dalla povertà 5 milioni di per­sone. Ha ridotto la mor­ta­lità infan­tile. Ha sra­di­cato l’analfabetismo. Ha mol­ti­pli­cato per cin­que il numero di mae­stri nella scuola pub­blica (da 65.000 a 350.000). Ha creato 11 nuove uni­ver­sità. Ha con­cesso pen­sioni d’anzianità a tutti i lavo­ra­tori (incluso quelli del set­tore infor­male)… Que­sto spiega l’appoggio popo­lare che ha sem­pre avuto Chá­vez, e le recenti vit­to­rie elet­to­rali di Nico­lás Maduro. Per­ché allora le pro­te­ste? Non dimen­ti­chiamo che il Vene­zuela cha­vi­sta – che custo­di­sce le prin­ci­pali riserve di idro­car­buri del pia­neta – è stato (e sarà) sem­pre oggetto di ten­ta­tivi di desta­bi­liz­za­zione e di cam­pa­gne media­ti­che siste­ma­ti­ca­mente ostili. Nono­stante si sia unita sotto la lea­der­ship di Hen­ri­que Capri­les, l’opposizione ha perso quat­tro ele­zioni in suc­ces­sione. Di fronte a que­sto fal­li­mento, la sua fra­zione più di destra, legata agli Stati uniti e diretta dal gol­pi­sta Leo­poldo López, punta ora su un colpo di stato a lenta com­bu­stione. E applica le tec­ni­che del manuale di Gene Sharp. In una prima fase: creare lo scon­tento mediante l’accaparramento mas­sic­cio dei pro­dotti di prima neces­sità; far cre­dere nell’incom­pe­tenza del governo; fomen­tare mani­fe­sta­zioni di scon­tento; e inten­si­fi­care la per­se­cu­zione mediatica. Dal 12 feb­braio, gli oltran­zi­sti sono pas­sati alla seconda fare, pro­pria­mente insur­re­zio­nale: uti­liz­zare lo scon­tento di un gruppo sociale (una mino­ranza di stu­denti) per pro­vo­care pro­te­ste vio­lente, e arre­sti; orga­niz­zare mani­fe­sta­zioni di soli­da­rietà con i dete­nuti; intro­durre tra i mani­fe­stanti pisto­leri con il com­pito di pro­vo­care vit­time da ambe­due i lati (la peri­zia bali­stica ha sta­bi­lito che gli spari che hanno ucciso a Cara­cas, il 12 feb­braio, lo stu­dente Bas­sil Ale­jan­dro Daco­sta e il cha­vi­sta Juan Mon­toya pro­ve­ni­vano dalla stessa pistola, una Glock cali­bro 9 mm); incre­men­tare le pro­te­ste e il loro livello di vio­lenza; rad­dop­piare l’attacco media­tico, con l’appoggio delle reti sociali, con­tro la repres­sione del governo; farer in modo che le grandi isti­tu­zioni uma­ni­ta­rie con­dan­nino il governo per l’uso smi­su­rato della vio­lenza; otte­nere che i governi amici lan­cino avver­ti­menti alle auto­rità locali.… Siamo in que­sta tappa. E dun­que: è a rischio la demo­cra­zia in Vene­zuela? Sì, per­ché è minac­ciata, una volta di più, dal gol­pi­smo di sem­pre.

2.22.2014

Costruiamo la lista dell'altra Europa!

2.21.2014

Ucraina: è tutto pilotato?

di Fausto Biloslavo, da "Il giornale" del 20/02/2014


L’Ucraina è sull’orlo della guerra civile. Il tentativo guidato dalle falangi dell’opposizione extraparlamentare come Pravi Sektor (Ala destra) e Spilna Prava (Causa comune) di raggiungere martedì il parlamento di Kiev per picchettarlo è subito sfociato in scontro aperto con la polizia. I manifestanti hanno tirato fuori le pistole, che raramente mostravano in piazza Maidan ed i poliziotti hanno risposto al fuoco. Il risultato, per ora, è di 25 morti, compresi 9 agenti ed un giornalista filogovernativo oltre a centinaia di feriti. L’eco delle violenze nella capitale ha subito raggiunto l’ovest del paese anti russo dove i ribelli sono tornati ad occupare gli edifici pubblici in 4 città. A cominciare da Leopoli, la “capitale” dell’Ucraina occidentale. I filo Maidan, la piazza simbolo della rivolta a Kiev, hanno assaltato anche la sede dei servizi segreti ed una caserma delle truppe speciali del ministero dell’Interno. Alessandro Gardini, un italiano che lavora in Ucraina e si trova a Leopoli, conferma che i ribelli “hanno preso tutte le armi della fureria e si sono diretti con degli autobus verso Kiev”. Dall’est del paese, tradizionalmente filo russo, sono partiti gli anti Maidan, che in maniera dispregiativa vengono chiamati “titushki” per raggiungere la capitale. Già ieri i miliziani filo governativi avevano partecipato agli scontri sanguinosi di Kiev. Il presidente in carica Viktor Yanukovich ha mobilitato i Berkut (aquile) i corpi speciali della polizia e sigillato la capitale e l’accesso a piazza Maidan con posti di blocco e blindati sulla cintura esterna. L’esercito con molti generali dell’ovest è in stato di allerta, ma con i soldati confinati nelle caserme. Come si è arrivati a questo punto dopo tre mesi di proteste, all’inizio pacifiche, nel centro di Kiev? La deriva Ucraina è solo l’ultima battaglia della nuova guerra fredda fra Mosca e Washington, che nelle settimane precedenti si è combattuta in maniera segreta e con colpi ad effetto. Il risultato è il sangue che sta scorrendo nella capitale, mentre gli scontri potrebbero espandersi a macchia d’olio spaccando in due il paese. Per capire i tasselli della “guerra segreta” bisogna chiedersi, come fa anche il settimanale Panorama in edicola, “cosa ci fa Open dialog, la stessa Ong del caso Shalabayeva che ha messo in difficoltà il governo italiano lo scorso anno, in mezzo ai rivoluzionari di piazza Maidan?” . Nel palazzo dei sindacati, in queste ore in fiamme, che era stato occupato dai miliziani ultra nazionalisti del partito Svoboda (Libertà), Open dialog aveva addirittura un manifesto, poi fatto sparire. Sul sito dell’organizzazione non governativa con sede a Varsavia “si reclutano “volontari per Kiev in appoggio alla protesta” con esperienze come fotografi, giornalisti, ma pure “nel pronto soccorso”. Open dialog, che fa parte della costellazione di associazioni in difesa dei diritti umani sponsorizzata dal miliardario George Soros, non è l’unica Ong schierata con i ribelli a Maidan. Per l’occasione sono ricomparsi anche i veterani di Otpor fondata con soldi americani, che nel 2001 a Belgrado ha giocato un ruolo di primo piano nell’assalto al parlamento e la caduta dello zar serbo Slobodan Milosevic. A Maidan negli ultimi giorni si è presentato anche l’intellettuale francese Bernard Henry Lévi facendosi rigorosamente fotografare in mezzo ad innocenti babucke, le casalinghe ucraine, come se la protesta fosse solo innocente e pacifica. Lo stesso Lévi che ha fomentato i ribelli libici contro Gheddafi ed inneggiato, almeno all’inizio, alle primavere arabe. Non a caso i manifestanti anti Maidan innalzavano dei cartelli con scritto “Yugoslavia, Lybia, Tunisia….. Ukraine is next (la prossima)?”. L’Fsb, il servizio segreto russo, ha assestato un colpo sotto la cintura intercettando e postando su You tube l’imbarazzante telefonata fra Victoria Nuland, assistente del segretario di Stato per gli Affari europei e l’ambasciatore americano a Kiev, Geoffrey Pyatt. Alla cornetta la diplomatica non dice solo la famosa frase “la Ue si fotta”, ma detta disposizioni sul futuro governo dell’opposizione. 

Come se gli oppositori fossero pedine da manovrare in un Grande gioco anti russo boccia l’ipotesi di Vitali Klitschko nell’esecutivo. L’ex pugile, che ha vissuto in Germania ed il suo partito, Udar, è sostenuto ufficialmente dalla Cdu, il movimento politico del cancelliere tedesco Angela Merkel. Nuland prima di mandare la Ue a farsi fottere racconta di come ha convinto l’Onu ad assumere un ruolo nella crisi ucraina considerando il segretario generale Ban Ki moon più utile ai piani americani rispetto ai mollaccioni di Bruxelles. In queste ore, però, è la Ue a minacciare sanzioni contro Yanukovich ed i suoi uomini. Il ruolo non solo diplomatico dell’ambasciata americana a Kiev si era già notato con la pubblicazione sul proprio sito della foto di Dmytro Bulatov, noto militante di Maidan, con il volto tumefatto, per rilanciare lo sdegno. Ancora oggi non sono stati chiariti tutti gli aspetti del suo rapimento e delle torture che ha subito. Non solo: in dicembre l’ambasciatore Pyatt aveva convocato Rinat Akhmetov, il più potente oligarca ucraino facendogli balenare l’ipotesi che i suoi importanti asset finanziari in giro per il mondo potevano finire nel mirino degli Usa. Dopo l’incontro Akmteov ha preso le distanze dal presidente Yanukovich, che aveva sempre appoggiato, invitandolo al dialogo con i manifestanti di Maidan. Bazzecole se fosse comprovata la veridicità di un filmato girato dai servizi ucraini o russi all’aeroporto di Kiev ed andato in onda sul primo canale della Tv di Mosca. Le immagini mostrano dei sacchi color amaranto scaricati da un jet bianco senza insegne, che grazie all’immunità diplomatica non passano la dogana. Una macchina blindata carica i sacchi e si nota la targa di un’altra vettura del corteo, 002, che corrisponde all’ambasciata Usa a Kiev. Nel servizio sulla tv russa si sostiene che i sacchi contenevano 17 milioni di dollari per alimentare la rivolta di Maidan. In dicembre gli ambasciatori a Kiev sono stati convocati al ministero degli Esteri per una nota informativa. Alla riunione un funzionario dell’Svb, il locale controspionaggio, ha annunciato l’arresto “di un cittadino americano”, che sotto le tende dei paramilitari di Maidan faceva vedere i video degli scontri del Cairo durante la primavera araba per mostrare come reagire alla polizia. La prima a chiedere sanzioni Ue contro il regime di Kiev è stata Varsavia sponsor dei ribelli. Nell’establishment americano è molto forte la lobby polacca a cominciare da Zbigniew Brzezinski, che in tempi non sospetti scriveva: “Gli Stati che meritano il più forte sostegno americano sono l’Azerbaijan, l’Uzbekistan e l’Ucraina, in quanto pilastri geopolitici. Anzi è l’Ucraina lo stato essenziale, che influirà sull’evoluzione futura della Russia”. Negli Stati Uniti esiste dal 1894 l’Associazione nazionale ucraina (Una), che durante la guerra fredda propagandava l’indipendenza del paese. Compreso il Canada conta oltre 50mila membri e gode di un patrimonio di 170 milioni di dollari di pensioni e assicurazioni. Dagli ucraini a stelle e strisce stanno arrivando soldi e aiuti per la rivolta. I russi non sono da meno nella guerra segreta a Kiev e parlano senza peli sulla lingua. Secondo il ministro degli Esteri Sergej Lavrov per l'Ucraina sull'orlo della guerra civile «la responsabilità è dell’Occidente che ha aizzato e incoraggiato i ribelli». Mosca ha parlato con esagerazione “di tentato colpo di stato”, ma a Washignton sono convinti che la nuova guerra fredda possa diventare calda. Lo scrive Stephen Blank, esperto di Russia, all’American foreign policy council sostenendo che il ponte fatto costruire su un territorio conteso attorno allo stretto di Kerch sul mare di Azov, al confine russo-ucraino, “sia l’eccellente autostrada per un’invasione”.

2.15.2014

Una buona notizia dall'Università di Siena

Apprendiamo con piacere che l'Università degli Studi di Siena, nella seduta del proprio Consiglio di Amministrazione del 14 febbraio scorso, ha accettato la riapertura dei termini temporali per la comunicazione da parte degli studenti del valore della propria dichiarazione ISEE ai fini del calcolo della seconda rata della tasse universitarie; questione sulla quale si era espresso anche il nostro Partito nei giorni scorsi. Ci complimentiamo con Link Siena e con gli studenti che hanno portato egregiamente avanti questa più che giusta battaglia! 

Lia Valentini segretaria PRC Circolo di Siena 
Francesco Andreini segretario PRC Federazione Siena

"La Camusso si demetta"

Pubblichiamo il comunicato dell’esecutivo nazionale de “Il sindacato è un’altra cosa” 

Condanniamo la gravissima aggressione subita dal compagno Giorgio Cremaschi e da altre compagne e compagni aderenti al documento congressuale “Il sindacato è un’altra cosa” a Milano, nel corso di un’assemblea CGIL con la presenza di Susanna Camusso. L’assemblea era già di per sé un fatto inusuale, in quanto erano convocate solo categorie con i gruppi dirigenti favorevoli all’accordo del 10 gennaio ed esclusa la FIOM, che aveva protestato pubblicamente. Un gruppo di compagne e compagni aderenti al documento alternativo, tra cui delegati delle categorie formalmente presenti in assemblea e Giorgio Cremaschi, primo firmatario del documento, si è quindi presentato all’incontro. Lo scopo era distribuire un volantino contro l’intesa sulla rappresentanza, che ricordava la singolare coincidenza tra l’assemblea per il si al testo unico sulla rappresentanza ed il 14 febbraio 1984, giorno del Decreto Craxi per il taglio alla Scala Mobile dei salari. Inoltre si volevano esercitare i diritti della minoranza con un intervento nel l’assemblea. I compagni indossavano anche cartelli con il no all’accordo. Il primo problema con il servizio d’ordine è sorto in quanto si voleva impedire ai compagni, che ne avevano pieno diritto, di accedere all’assemblea. Già lì il servizio d’ordine ha esercitato pesanti pressioni. Alla fine ai delegati è stato concesso di entrare purché lasciassero i cartelli. Solo Cremaschi ha potuto conservare il cartello che diceva no all’accordo. Una volta in sala i nostri compagni hanno seguito in assoluto silenzio la relazione e all’apertura del dibattito Nico Vox,delegato della funzione pubblica, ha chiesto di poter intervenire come unico intervento di dissenso tra i tanti già programmati. Subito tutto il gruppo di delegati dissenzienti è stato circondato dal servizio d’ordine che impediva a Nico Vox di avvicinarsi alla presidenza. Susanna Camusso si avvicinava al gruppo e anche a lei veniva rivolta la richiesta che Nico potesse parlare, senza ricevere risposta. Si rispondeva invece dal palco dicendo che si poteva parlare in altre sedi. Alle proteste del gruppo di delegati seguiva una violentissima aggressione da parte del servizio d’ordine. I compagni venivano brutalmente spintonati, insultati minacciati. Giorgio Cremaschi veniva gettato nelle scale e solo per fortuna non ha riportato danni mentre Nico Vox doveva ricorrere all’ospedale. Quello avvenuto è un atto senza precedenti nella vita della CGIL, dove i più aspri dissensi non sono mai stati affrontati con la violenza fisica e le minacce personali. Il senso profondamente antidemocratico dell’accordo sulla rappresentanza inquina già tutta la vita interna della CGIL, ma è evidente che qui si è passato il segno. L’esecutivo nazionale de “Il sindacato è un’altra cosa” esprime piena condivisione e solidarietà verso i compagni Giorgio Cremaschi, Nico Vox e verso tutti gli aggrediti. I compagni colpiti verranno tutelati in tutte le sedi, ma è chiaro che la responsabilità politica della segretaria generale della CGIL è enorme. Al direttivo della CGIL convocato per il 26 febbraio verrà presentata una mozione di sfiducia verso Susanna Camusso che si è rivelata incapace di tutelare i diritti e le libertà degli iscritti alla CGIL e per questo deve dimettersi.

2.12.2014

Ucraina: i comunisti istituiscono le milizie popolari per combattere i neonazisti


I comunisti di Zaporozhe hanno creato una “milizia”, annuncia il Primo Segretario del Partito Comunista di Ucraina Vitalij Misha. Secondo lui, l’iniziativa proviene dai cittadini e da organismi pubblici, allarmati dalla minaccia dei nazisti. Il compito della “milizia del popolo” è mantenere l’ordine pubblico, evitare la destabilizzazione dell’oblast di Zaporozhe e bloccare tutti gli attacchi dai gruppi fascisti. La consigliera regionale comunista Elena Semenenko ha chiesto il divieto del partito “Svoboda” nel territorio della regione di Zaporozhe. L’8 febbraio, si svolgerà un grande corteo antifascista a Kiev dei volontari della “milizia”, composta da: Komsomol di Zaporozhe VSZHT “Gioventù futura d’Ucraina” Guardia Slava Unione dei cittadini ucraini Unione degli agenti di polizia sovietici Organizzazione dei veterani d’Ucraina Funzionari pubblici Associazione dei veterani di Chernobyl I principali obiettivi della milizia è supervisionare il rispetto della legge e dell’ordine nella città, creare squadre d’intervento anti-tumulti, impedire all’opposizione di occupare edifici amministrativi, lotta antivandalica, opposizione a qualsiasi forma di restauro del fascismo e riabilitazione dei crimini commessi dai terroristi dell’UPA. A Lugansk, i comunisti creano la “milizia” per respingere i ribelli I comunisti formano una “milizia” di 200 persone pronta a reagire entro un’ora respingendo i neo-nazisti diretti a Lugansk, afferma il Primo Segretario del Comitato del Partito Comunista di Ucraina, Maksim Chalenko. “Lo scopo di questo gruppo è proteggere i civili e non gli edifici amministrativi. Nostro compito è impedire scontri e provocazioni.” Ha anche notato che la milizia è al centro della rete di organizzazioni primarie del comitato regionale del Partito comunista dell’oblast di Lugansk, che copre l’intera regione. “In ogni strada vi sono comunisti, osservano la situazione nelle zone residenziali e avvisandoci della situazione costantemente, la sede decide come reagire“, ha aggiunto il comunista. 
Traduzione di Alessandro Lattanzio

2.11.2014

Referendum immigrazione in Svizzera: vince la Lega per la libera circolazione dei capitali e delle merci ma blocca i lavoratori

Pubblichiamo il comunicato dei compagni del Partito comunista – Sezione ticinese del Partito svizzero del Lavoro sull’esito delle consultazioni promosse dall’Udc svizzera sul tema immigrazione. 

L’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” è passata in votazione popolare. Il risultato per i diritti sociali dei lavoratori e per il diritto umanitario è negativo. L’iniziativa UDC mette a rischio non solo numerosi posti di lavoro, ma favorisce le delocalizzazioni e danneggia conseguentemente l’economia nazionale (che esporta nell’UE per il 60%), in quanto il nostro Paese non è una realtà autarchica che può fare facilmente a meno delle relazioni con l’Europa. Berna dovrà comunicare a Bruxelles con ogni probabilità la fine della via bilaterale per come l’abbiamo finora conosciuta, la qual cosa potrà comportare anche degli indennizzi per la rottura unilaterale degli accordi. Il Partito Comunista auspica certamente una rinegoziazione di tali accordi, oggi basati solo sulla libera circolazione dei capitali, ma non siamo neppure ciechi circa i rapporti di forza oggi fortemente compromessi per il nostro Paese. La Svizzera si pone poi contro il diritto internazionale se l’iniziativa UDC venisse applicata alla lettera e a soffrire sarà non solo la povera gente costretta a fuggire da paesi in guerra (spesso fomentata dai governi occidentali), ma anche gli stessi cittadini svizzeri che vivono, lavorano e studiano all’interno di contesti in cui gli accordi economici e sociali tra Svizzera e UE sono decisivi. Il Consiglio federale si deve assumere la piena e totale responsabilità politica di questa situazione. La subalternità del governo nei confronti dell’imperialismo europeo e nel contempo la sua totale incapacità di affrontare i problemi sociali nelle zone di frontiera, così come spesso indicato dalla sinistra e dai sindacati, è alla base di questo disastroso successo dell’estrema destra che frantuma in modo grave l’unità dei lavoratori e favorisce pericolose politiche scioviniste. 

Partito comunista – sezione ticinese del Partito svizzero del lavoro 

2.10.2014

Solidarietà ai 12 studenti denunciati a Siena per le mobilitazioni contro la Legge Gelmini

Il 30 novembre 2010, nell'ambito di una grande manifestazione studentesca contro il DDL Gelmini quel giorno in discussione in Parlamento, sono stati denunciati a Siena, da agenti della Digos, con l'accusa di interruzione di pubblico servizio, dodici studenti rei di essere stati i presunti capi organizzativi di un corteo che ha bloccato per quindici minuti un autobus vuoto nei pressi di piazza Gramsci. Noi crediamo che un tale provvedimento sia del tutto sproporzionato e fuori luogo dal momento che si trattava di un corteo completamente pacifico, inserito in un contesto nazionale di mobilitazione di massa contro la più disastrosa riforma della Pubblica Istruzione che l'Italia democratica abbia mai conosciuto. Ancora una volta va riaffermato il concetto che la manifestazione del pensiero è un diritto sancito dalla Costituzione. In occasione dell'udienza che si terrà il prossimo 12 febbraio intendiamo ribadire la nostra piena solidarietà ai denunciati e la nostra totale disponibilità politica nei loro confronti.

La necessità di difendere la memoria antifascista dal mito delle foibe

 di Carmine Tomeo

Quando si parla e soprattutto quando si partecipa alle commemorazioni della Giornata del Ricordo, il 10 febbraio di ogni anno, si dovrebbe innanzitutto (o quanto meno) tenere presente che cosa si sta celebrando. Ovviamente la propaganda patriottarda e neo-irredentista racconta la storia dell’esodo degli italiani dell’Istria e della Dalmazia dalle persecuzioni titine. Ma intanto occorre tenere a mente cosa rappresenta storicamente il 10 febbraio. La Giornata del Ricordo nasce in sostanziale contrapposizione alla giornata della memoria del 27 gennaio. Non è casuale la vicinanza delle due ricorrenze e abbastanza evidente dovrebbe apparire la contrapposizione. Il 27 gennaio è il giorno in cui l’Armata rossa entra ad Auschwitz, libera il campo di sterminio e mette davanti agli occhi del mondo la barbarie nazista; il 10 febbraio, per contro, è il giorno del 1947 durante il quale venne firmato il trattato di pace di Parigi, a seguito del quale l’Italia sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale nel quale era stata precipitata dal fascismo, dovette cedere alla Jugoslavia vincitrice del conflitto gran parte dei territori dell’Istria che erano stati conquistati dall’Italia nella sua guerra imperialista: la Prima Guerra Mondiale. È chiaro, quindi, quali riferimenti storici stiano alla base delle celebrazioni della giornata del ricordo: quelli dell’imperialismo italiano, sconfitto con il fascismo nella Seconda Guerra Mondiale. È a questa sconfitta (dell’imperialismo e del fascismo) che i “foibologi” non vogliono rassegnarsi. Non è un caso che fu Roberto Menia il primo firmatario nel 2003 della proposta di Legge per l’istituzione della giornata del ricordo, lo stesso che nel 1992, quand’era segretario della federazione del Msi-Dn di Trieste, insieme a Gianfranco Fini (allora segretario nazionale dello stesso partito), lanciava bottiglie in mare al largo di Istria contente il seguente messaggio: «Istria, Fiume, Dalmazia: Italia!… Un ingiusto confine separa l’Italia dall’Istria, da Fiume, dalla Dalmazia, terre romane, venete, italiche. La Yugoslavia [Jugoslavia con Y nel testo originale] muore dilaniata dalla guerra: gli ingiusti e vergognosi trattati di pace del 1947 e di Osimo del 1975 oggi non valgono piu’.. E’ anche il nostro giuramento: ”Istria, Fiume, Dalmazia: ritorneremo!”». Non è un caso che ancora Gianfranco Fini, mentre ricopriva la carica di presidente della Camera, nel corso della cerimonia di inaugurazione del monumento a Norma Cossetto il 21 febbraio 2009 affermò che «Nostra intenzione è riportare in terra d’Istria non il tricolore di Stato, ma il dialetto, la memoria patria, la cultura, senza spirito aggressivo (…) ricordando però che l’Istria è terra veneta, romana, dunque italiana.» [1] Prima ancora di parlare di italiani infoibati ed esiliati in quanto tali dal territorio jugoslavo, occorre quindi tenere bene a mente da dove nasce la Giornata del Ricordo, cioè da un mai sopito spirito nazionalista e revanscista. Basta a tal proposito farsi un giro sul sito dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd), che si definisce come «la maggiore rappresentante sul territorio nazionale degli italiani fuggiti dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia». [2] L’Anvgd, gonfiando come al solito i numeri sul cosiddetto esodo degli italiani e sulla loro morte nelle foibe, considera importante il giorno del ricordo perché «riporta sotto i riflettori quei dolorosi eventi ma nel contempo anche i valori di identità nazionale [e] le parole foibe ed esodo istriano, fiumano e dalmata vengono ravvivate nel loro significato più drammaticamente profondo ma nel contempo in una fiduciosa prospettiva per il futuro». C’è da chiedersi (retoricamente) se la «fiduciosa prospettiva per il futuro» a cui fa riferimento l’Anvgd faccia riferimento all’articolo 2 del proprio statuto con il quale l’associazione si propone di «compiere ogni legittima azione che possa agevolare il ritorno delle Terre Italiane della Venezia Giulia, del Carnaro e della Dalmazia in seno alla Madrepatria». [3] Se non è irredentismo questo… E allora è necessario che la Giornata del Ricordo venga sottratta al mito e riconsegnata alla storia. E la storia, ripulita dalle menzogne, dalle falsificazioni e dalle narrazioni ad uso e consumo del neoirredentismo e del neofascismo, dimostra che la minaccia e la teorizzazione dell’infoibamento viene dal nazionalismo italiano in quelle terre fin dall’inizio del secolo scorso [4]. Soprattutto, però, la storia, che non può essere decontestualizzata, dovrebbe ricordare che il fascismo teorizzava il genocidio del popolo slavo, considerato «razza inferiore e barbara come la slava» contro il quale, affermava Mussolini già nel 1920, «non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani». E la storia, ripulita dalla falsificazioni neofasciste, dimostra quali politiche di italianizzazione forzata dovettero subire le popolazioni slave soprattutto con l’avvento del fascismo, quali persecuzioni; quali politiche di deportazioni e fucilazioni di massa, distruzioni di interi villaggi in conseguenza dell’occupazione delle terre istriane e dalmate da parte del nazifascismo. Riportare le foibe fuori dal mito significa affermare che all’indomani dell’8 settembre 1943 e poi dopo la fine della guerra, vi furono certamente, come afferma Claudia Cernigoi «esecuzioni sommarie, vendette personali, e che i corpi degli uccisi furono anche gettati nelle “foibe”. Il fatto è però che i morti non furono migliaia, come la propaganda ha sempre sostenuto, ma tra i trecento ed i quattrocento» [5]; che i cosiddetti infoibati avevano solitamente curriculum di squadristi, aguzzini, torturatori, spie, collaborazioni nazifascisti. [6] Uccisi, in guerra, in una lotta contro il nazifascismo e non contro gli italiani in quanto tali; che non vi fu, quindi, alcun genocidio con migliaia di morti e che non vi fu alcun odio anti-italiano, ma semmai vi fu lotta antifascista nel corso (forse è bene ricordarlo) della Seconda guerra mondiale, il conflitto armato più barbaro che la storia ricordi. Vi fu, cioè, una lotta di Resistenza contro il nazifascismo e la sua barbarie. Quando questa operazione di smitizzazione viene portata avanti, si dimostra chiaramente che nessuna memoria condivisa è possibile, perché significherebbe infangare la memoria storica antifascista con le falsificazioni e con le teorizzazioni fasciste. Mentre oggi, ancora oggi, a quasi 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dalla sconfitta del nazifascismo, abbiamo bisogno di affermare chiaramente i valori della Resistenza e dell’antifascismo. Quei valori oggi contenuti nella nostra Costituzione. Non è un caso che proprio la Costituzione, ultimo baluardo di democrazia istituzionale in Italia, sia messa in discussione con la stessa meschinità, con gli stessi metodi subdoli con i quali viene messa in discussione la memoria antifascista con il mito delle foibe. Se venisse a mancare di senso la memoria storica antifascista, verrebbero a mancare di senso immediatamente anche i principi costituzionali antifascisti, di democrazia, di pari dignità sociale, di pieno sviluppo della persona umana, di partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. Karl Polanyi, antropologo hungerese, affermò che «La soluzione fascista dell’impasse raggiunta dal capitalismo liberale può essere descritta come una riforma dell’economia di mercato raggiunta al prezzo dell’estirpazione di tutte le istituzioni democratiche tanto nel campo dell’industria che in quello della politica. Il sistema economico che era in via di disfacimento veniva così rivitalizzato mentre i popoli stessi venivano sottoposti ad una rieducazione destinata a snaturare l’individuo e a renderlo incapace di funzionare come unità responsabile del corpo politico.» [7] E’ chiaro quindi che la soluzione fascista è un’ipotesi sempre possibile. Non è un caso che oggi, di fronte ad una memoria storica antifascista compromessa, esattamente in un periodo di «impasse raggiunta dal capitalismo liberale», si tentino riforme in senso antidemocratico, sia in economia che in politica. Esempi molto chiari ne sono la proposta (speriamo senza efficacia) di una legge elettorale (quella proposta da Renzi ed il pregiudicato Berlusconi) in contrasto con la Costituzione [8] e che limita la partecipazione effettiva dei cittadini alla vita politica e rimuove il conflitto di classe per via legislativa. Una legge elettorale che tenta di eliminare la possibilità che il conflitto sociale venga rappresentato in Parlamento come era nelle intenzioni dei costituenti. E non è un caso che Marchionne possa bellamente minacciare di lasciare l’Italia all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale che impone alla Fiat il rispetto del diritto sindacale previsto dalla Costituzione [9]. Non è nemmeno un caso che una banca d’affari come JP Morgan possa permettersi di “suggerire” di rimuovere i principi antifascisti contenuti nella nostra Costituzione [10] per affermare liberamente politiche economiche di austerità che da anni stanno compiendo un vero e proprio massacro sociale. Ecco quindi l’attualità dell’antifascismo ed al tempo stesso la necessità di non cedere un millimetro di fronte alle spinte bipartisan che vorrebbero imporre un’impossibile memoria condivisa. Nel Giorno del Ricordo, non cedere al revisionismo neofascista e neoirredentista e riportare le foibe fuori dal mito significa appunto questo: difendere la memoria antifascista. Necessaria oggi anche per difenderci dalle politiche antisociali in atto e per lottare contro di esse.